Andrej Konchalovskij – La bisbetica domata
Tra slapstick comedy ed echi metafisici dechirichiani, “La bisbetica domata” diventa espressione dell’educazione femminile durante il fascismo
E’ un lavoro ben riuscito, quello di Andreij Konchalovskij su La bisbetica domata di William Shakespeare (di datazione incerta, presumibilmente composta nel 1594). Il testo, nella traduzione di Masolino D’Amico, è stato snellito e privato della sua cornice meta-teatrale attraverso cui tutta la commedia sulla donna bisbetica e apparentemente “indomabile” sarebbe, in sostanza, una rappresentazione messa in scena da commedianti al cospetto di personaggi burloni e benestanti. Tuttavia, la meta-teatralità del testo viene comunque evocata, restando in secondo piano anche nella regia di Konchalovskij, oltre che in Shakespeare, dove infatti il titolo dell’opera allude non alla cornice del Prologo ma alla commedia che viene fatta inscenare (nel Prologo dell’opera shakespeariana, a un ubriacone prelevato dormiente dalla strada viene fatto credere di aver sempre vissuto una vita tra gli agi nobiliari e di aver trascorso un lungo sonno/sogno): in questa regia, in fondo, ai lati del palcoscenico, nelle zone che normalmente si direbbero nascoste alla vista ma che invece qui si offrono allo sguardo, vediamo infatti due table de maquillage davanti ai quali siedono attori che, di tanto in tanto, in controscena, si alzano per fare “training” o provare passi di danza.
La scenografia costituisce senz’altro uno dei punti forti di questo spettacolo (anche se non l’unico): la città di Padova, in cui è ambientata la commedia shakespeariana, viene evocata dal monumentalismo bidimensionale delle coloratissime immagini digitali sullo sfondo, riecheggianti la pittura metafisica di Giorgio De Chirico; una dimensione onirica e allo stesso tempo neoclassica che ben si sposa con l’idea del regista di ambientare l’intreccio intorno alla metà degli anni ’20 del Novecento, scelta dettata dalle possibilità suggerite dal testo di immaginare la metamorfosi del personaggio di Caterina, da terribile bisbetica a moglie esemplare – grazie ai modi del suo pretendente Petruccio – come il percorso educativo verso cui la donna cominciò a essere rigorosamente indirizzata a partire dagli anni ’24-’25, in seguito, cioè, all’inasprimento delle leggi fasciste (e sessiste), attraverso le quali, una volta diventata moglie, la donna non solo diventava succube della volontà del suo sposo, ma a questi avrebbe dovuto anche prestare tutte le sue energie quotidiane (naturalmente, a casa).
Nella regia di Konchalovskij, inoltre, gli atteggiamenti, i movimenti, da slapstick comedy, se al pubblico odierno non strappano la risata “grassa”, amalgamano senza dubbio bene le varie scelte registiche, non ultimi i disegni dei costumi, bellissimi e luminosissimi. Un grande plauso, tra tutti i bravi interpreti, va in particolare a un’azzeccatissima Mascia Musy, nei panni di Caterina; non solo la figura ideale, ma anche e soprattutto una “voce” singolare, rude e aggressiva come il suo personaggio.
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- Titolo originale: La bisbetica domata