Cinema Festival

An Unusual Summer

Stefano Valva

Se si dà per veritiero che il rapporto tra l’autore e l’opera sia frutto di una ricerca alle volte attivata per finalità differenti, oppure sia il risultato di una storia alla quale si è assistiti dal vivo o che si è conosciuta tramite altri media, o anche che sia la conseguenza di un intrinseco processo mnemonico – incentivato dall’immaginazione e dal mondo onirico – così come avviene in 8 e ½ di Fellini per esempio, allora la pellicola An Unusual Summer del regista palestinese Kamal Aljafari può divenire – tra le altre cose – esemplificativa su ciò, quindi sul concetto di nascita di un’opera. Infine, anche su di un rapporto profondo che avviene magicamente proprio tra prodotto e autore (che qui più che in altre circostanze è una sorta di ricercatore, di esploratore al quale si presenta un qualcosa allo stato embrionale, da valorizzare e stilizzare). 

La pellicola è frutto proprio di una ricerca personale da parte del regista, il quale un giorno, dopo la morte del padre, ritrova dei nastri di videosorveglianza – datati luglio 2006 – con i quali proprio il genitore tentò di scoprire chi fosse il vandalo che periodicamente danneggiava la sua macchina, parcheggiata nello spiazzale antistante la casa. Da tali nastri, si scopre che il materiale che ne viene fuori è interessante anche come implementazione in una pellicola cinematografica, che qui diviene una macchina della nostalgia, della raffigurazione di una tipica società orientale e dei dissapori di un territorio condizionato dalla guerra tra Israele e Palestina, che negli anni ha reso proprio i palestinesi degli stranieri in casa. 

Lo spettatore affascinato senza dubbio in superficie dal whodunit, ossia dallo scoprire come se si trovasse in una cabina investigativa – attraverso delle telecamere nascoste – l’identità, o meglio la figura corporea del vandalo, si ritrova a visualizzare anche dei personaggi eterogenei e caratteristici di un microcosmo (in virtù del loro transitare abitualmente per lo spaccato di strada inquadrato dalla telecamera) e ad ascoltare i ricordi nostalgici, affettivi e familiari dell’autore stesso. 

Il regista quindi, appare con voce fuori campo che è sia didascalica (presenta i personaggi, ne descrive le peculiarità routinarie e umane, sceglie attraverso lo zoom su cosa o chi lo spettatore deve porre l’attenzione, ergo la visione è filtrata e preimpostata), sia emozionale, dato che decide di rivivere e riecheggiare momenti e situazioni familiari, ed una fase della propria vita che non c’è più, caratterizzata dall’adolescenza e dai luoghi iconici – vedi anche l’albero sul quale si arrampicava – simboli dello svago e dei rapporti sociali di quel tempo. 

Si potrebbe definire An Unusual Summer un prodotto cross-mediale, anche se i video di repertorio e delle videocamera non sono un medium che si intreccia con la forma cinematografica (seppur la telecamera che inquadra la quotidianità, si avvicini agli scopi bensì non all’estetica del cinema del reale). Nonostante ciò, l’opera è un montaggio di svariati video di repertorio, ritagliati, diluiti, modificati nell’inquadratura e nella visualità il più possibile, pur di farli assomigliare ad una camera cinematografica che è per forza di cose fissa in campo medio con delle profondità di campo, ed oltretutto caratterizzata da un’estetica e da un sonoro non abituali per una pellicola, dato che è a tratti sgranata, con rumori di sottofondo, con registrazioni rovinate (i video riscoperti dopo tanti anni, hanno subito delle usure, che l’autore aldilà di tutto ha ben minimizzato in fase di produzione). 

Il tutto è permeato da alcune didascalie nell’intermezzo, che sembrano quasi avere la funzione originaria dell’era del cinema muto, ossia di spiegare quello che sta succedendo all’interno dell’azione, quindi aiutando lo spettatore a contestualizzare e a renderlo attento investigatore, in una visione che è prettamente visiva ed evocativa, maggiormente iconografica e poco narrativa. 

La nostalgia e la rassegna dei ricordi di Aljafari – seppur essi siano di natura privata – sono un eco malinconico e singolare sulla storia e sulle sorti della Palestina e dei palestinesi, sulla visione di una casa che nel tempo è mutata completamente, passando repentinamente dall’essere patria ad essere territorio sconosciuto, come se ci si potesse andare ormai solo come ospiti (e nemmeno graditi). E con ciò, il processo esplorativo del regista è una catena della storiografia e dell’umanesimo, perché il ritrovamento dei nastri è la ricerca del colpevole, del padre, è il ricordo e il desiderio di una casa perduta, è una voglia spasmodica di indietreggiare, per rivivere e allo stesso tempo continuare a vivere quello che non si può più riavere, nel presente e probabilmente nemmeno in futuro. 


  • Diretto da: Kamal Aljafari
  • Prodotto da: Kamal Aljafari
  • Musiche di: Rob Walker
  • Fotografia di: Abedeljalil Aljafari
  • Montato da: Kamal Aljafari
  • Casa di Produzione: Studio Berlin
  • Durata: 80 minuti
  • Paese: Palestina, Germania
  • Lingua: Arabo

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