Arti Performative Focus

Alessandro Sciarroni, un outsider poetico

Roberta Leo

Venezia, 21 giugno 2019. Alessandro Sciarroni riceve il Leone d’Oro per la danza nella Sala delle Colonne a Ca’ Giustinian. La sera stessa al Teatro alle Tese debutta la prima italiana di Augusto, preceduto dalla performance del 2007 Your Girl. A lui va il prestigioso riconoscimento, a lui che continua a portare avanti il discorso, connesso con la cultura postmoderna, sull’importanza di rendere danza anche ciò che nell’immaginario diffuso danza non è, servendosi della commistione tra il teatro, lo sport, il circo e le arti visive. Non definendo se stesso un danzatore né un coreografo, dal momento che la sua formazione affonda più nello studio critico della performance art o nella pratica attorale che nell’esperienza dell’arte coreutica, la danza, per lui, da strumento diventa il fine del suo lavoro. Un lavoro che è estremamente concettuale da un lato, se si pensa al suo rigore razionale, e dall’altro è intriso di contemporaneità. Sciarroni porta avanti la sua ricerca sulla danza servendosi di mezzi teatrali irriverenti e di un’estetica squisitamente visiva, ma ricava i soggetti delle sue creazioni da un certo minimalismo filosofico, dall’arte dadaista e dalla letteratura romantica (come la moderna Madame Bovary di Your Girl).

“Augusto”. Foto di Alice Brazzit

Rappresentate anche in occasione della consegna del premio, Augusto e Your Girl, sono alcune delle opere più rappresentative del metodo creativo di Sciarroni, che si serve di un sistema compositivo simile al ready-made di radice duchampiana: estrapola un oggetto o un pensiero dalla sua naturale ambientazione, lo decontestualizza per poi reinserirlo su un piano non più soltanto fisico ma anche intellettuale, rivestendolo così di un significato artistico completamente nuovo. Oggetto dei suoi studi e dei suoi lavori può essere infatti un pensiero, un movimento, un suono, una nevrosi. La pratica coreutica chiude il cerchio del processo creativo animando i corpi e gli oggetti accostati sulla scena. La danza è la linfa vitale che anima il tutto ma che da questo tutto è prodotta: dalla risata felice e nevrotica di Augusto all’aspirapolvere o ai petali della margherita di Your girl; dai tour di Turning, ai balli folk di Folk-S e di Save the last dance for me; dagli specchi ai birilli da giocoleria, al format agonistico o a certe sfide virtuosistiche che ricordano il mondo circense. Performance artistica sotto le sembianze di un agone sportivo, e nella fattispecie di una gara di Goalball, sport paraolimpico ideato per persone ipovedenti, è per esempio Aurora, di cui recentemente è stato trasmesso per Lingua Madre, palinsesto online del LAC – Lugano Arte e Cultura, il film-diario di Cosimo Terlizzi Aurora. Un percorso di creazione (2015), che documenta e traduce il making of dello spettacolo. In quella che è la scena, ma anche un campo sportivo, coabitano performer non professionisti, ma che sono professionisti sportivi e diversamente abili (ipovedenti), e due performer professionisti, i quali, però, non sono professionisti sportivi e sono anche bendati, dunque portati allo stesso grado di disabilità degli altri. Giocando e bilanciando le varie possibilità, Sciarroni costruisce qui una perfetta struttura concettuale in cui di volta in volta, attraverso delle variazioni drammaturgiche, emergono le diverse abilità e livelli di “conoscenza” dei corpi rispetto al senso della vista e dell’udito, compresi quelli dello spettatore (a un certo punto, infatti, la partita si svolge al buio).

“FOLKS-S will you still love me tomorrow?”. Foto di Andrea Macchia

A questi esperimenti corali, tuttavia, l’artista preferisce assoli e duetti ai lavori corali, predilige scene asettiche e singoli dispositivi esclusivamente funzionali all’azione ma cerca sempre e comunque l’empatia tra performer e spettatore, come in Folk-S, in cui lo spettatore assiste a una danza popolare tipica bavarese, lo Schuhplatter, decontestualizzata, performata e reiterata fino allo sfinimento dei suoi interpreti. Forte di quella formazione teorica in Conservazione dei Beni Culturali, Sciarroni ha anche il merito di essersi posto, attraverso le performance da lui firmate, il problema di come pur aderendo indirettamente alla missione di salvare un patrimonio culturale poco conosciuto e facile all’oblio, la contemporaneità possa mettersi al servizio della tradizione senza tradire sé stessa.

È l’identità e la diversità dei corpi a ricorrere nelle sue creazioni e sono gli stessi corpi dei performer a farsi strumenti con cui realizzare percussioni sonore e vocali. Oggetti e corpi reinseriti in nuovi contesti estetici e intellettuali sono solo il pretesto per raccontare le imperfezioni, i disagi e i paradossi dell’uomo contemporaneo, inteso non come singolo ma come umanità in senso universale. Di questa universalità Sciarroni coglie i disagi psicologici che riecheggiano e si mostrano in un disagio fisico; rappresenta le negatività del pensiero dell’uomo, ciò che induce un corpo a chiudersi e a smettere di ricercare un movimento libero, puro; ne scaturisce una ricerca continua che tra alti e bassi non culmina mai in un risultato perfetto, in un prodotto finito. Sciarroni tratteggia un uomo al margine della società che necessita di una nuova collocazione, di un bisogno d’amore per sé stesso, un essere che, in quanto tale, è insieme strumento ed essenza, materia e spirito. Gesti semplici e minimalisti, brevi cellule coreografiche ripetute ossessivamente, accostamenti e legami tra corpi e spazi diventano la nuova danza che si erge prepotente, folle, nel disperato tentativo di essere e sopravvivere. Libera da schemi e accademismi, intrisa di stimoli, forte di una resistenza fisica spinta all’estremo, fino all’ultima nota della musica del corpo.

[Immagine di copertina:  “Aurora, un percorso di creazione”, film di Cosimo Terlizzi ©Cosimo-Terizzi]



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