Toy Story 4
Toy Story è stato un franchise che ha avuto un percorso anomalo nel panorama contemporaneo delle saghe cinematografiche. Perché ci sono più di vent’anni di distacco fra Toy Story 1 (1995) e quello che riguarda quest’articolo, ossia Toy Story 4.
Sembrerà un’analisi velleitaria, ma è strano come una saga di successo sia stata prodotta in così tanti anni di distanza fra i vari sequel, prevalentemente fra il secondo e il terzo, e tra il terzo e l’ultimo.
Eppure, la grande distanza temporale di produzione non è diventata il punto debole, anzi cosa alquanto analoga è successa ad un altro cartoon Disney, ossia Gli Incredibili. Toy Story è entrato di diritto nei cuori delle generazioni degli Anni ’90, e ha saputo indirettamente modernizzarsi, per adeguarsi a nuovi stili, e ai diversi gusti degli allora posteri, ovvero i cosiddetti millenials.
Toy Story 4 è l’incontro tra le due generazioni citate, tra quelli che lo hanno assaporato nella adolescenza o infanzia, e lo hanno inglobato in un immaginario, che insieme ad un sentimento nostalgico, li hanno riportati in sala nel 2019, e tra i nuovi adolescenti che lo hanno scoperto da poco, e che possono – a differenza degli altri capitoli – godersi uno dei sequel finalmente al cinema.
Il flashback è il protagonista dell’incipit del quarto capitolo, nel quale anni prima degli eventi del terzo film vediamo la separazione tra Woody e Bo Peep, la quale viene venduta ad altre persone, lasciando un vuoto incolmabile nella vita dello sceriffo protagonista.
Successivamente, comincia la vera e propria narrazione del nuovo sequel: Woody sembra un giocattolo ormai scartato nel contesto ludico odierno, e viene messo ai margini dalla sua nuova proprietaria, ossia Bonnie, che preferisce passare il tempo libero con altri giochi.
Nonostante ciò, il grande animo di Woody fa sì che non lasci la bambina da sola nel suo primo giorno di asilo, infilandosi di nascosto nel suo zaino. La stessa Bonnie, in un momento di solitudine a scuola, crea un giocattolo con materiale di seconda mano, a forma di forchetta, che Woody presenterà allo storico gruppo come Forky.
Ma Forky non è un giocattolo qualunque, non si ritiene come tale, e non viene considerato uguale agli altri, eppure Woody cerca di difenderlo in tutti i modi e di non farlo scappare, sapendo l’importanza che sta per avere nell’infanzia di Bonnie.
La situazione farà partire un viaggio turbolento e pieno di insidie, nel quale Woody, da autentico sceriffo-eroe del far west, cercherà di salvare Forky da svariate disavventure.
Come si può dedurre dagli scorci di trama, e dalla story-line dell’incipit, questo è il sequel di Toy Story più personale per Woody; per tutto il minutaggio ci sta una lunga digressione psicologica, che termina solo alla fine del film, e nella quale è impossibile non lasciarsi trasportare con le emozioni. Tutti gli altri personaggi – tranne il solito Buzz, che entra prepotentemente nella pellicola dalla seconda metà in poi – sono (anche troppo) in secondo piano, lasciando spazio al vero e unico protagonista, tra gioie, dolori, classiche e pericolose missioni, e incontri con amici di vecchia data.
Toy Story 4 riprende quello che un po’ mancava al precedente: in primis la regia, perché è evidente l’ottima mano di Josh Cooley, che dopo aver co-diretto successi di animazione come Up, Inside Out e The Brave, in questa regia solitaria, dà un buon ritmo alla pellicola, accattivando la visione anche nel nocciolo della narrazione; e poi ha un plot più congegnato e dinamico, che il terzo aveva lasciato un po’ in disparte per lasciare campo alla sola componente emozionale dell’epilogo. In sintesi, il film è un giusto mix tra una caterva di emozioni basate sugli effetti e le conseguenze della temporalità, e il citato dinamismo da classico viaggio avventuroso, nel microcosmo dei famosi giocattoli Pixar, riproponendo l’essenza dei primi due.
Il tempo, d’altronde, non frena o almeno sembra che non concluderà la narrazione di Toy Story, a 24 anni dall’esordio. Nel complesso, il quarto capitolo si appresta a divenire uno spartiacque con possibili e ipotizzabili sequel. Uno spartiacque doloroso e spiazzante per il pubblico, con una logica che ricorda più la serialità televisiva che il cinema, e che cercherà di proporre qualcosa di nuovo ai fans, perché alla lunga, questo è altrettanto vero, la stabilità e la monotonia possono essere i nemici più invisibili, ma anche più pericolosi per un franchise.
Tornando alle caratteristiche proprie di questo sequel, si modifica anche il rapporto tra il bambino e Woody. Perché se con Andy, il rapporto era diretto, molto frontale, e costituiva uno dei perni principali della sceneggiatura, quello con Bonnie viceversa, è indiretto, nel quale Woody agisce come un deus ex machina, e cerca con la sua esperienza acquisita negli anni, durante un processo di crescita di un bambino/adolescente, di esaudirne le esigenze e di comprenderne i sentimenti, come un baby sitter.
Inoltre, quello tra Woody e Forky, oltre a essere un rapporto di profonda conoscenza di sé e dell’altro, di amicizia e di condivisione di spazi, è principalmente un passaggio di consegne, l’accettazione del nuovo – in questo caso il riciclato – che avanza, e per lo storico sceriffo pensare di meno al bisogno altrui, e più al suo “ranch”, alla vita personale.
Attraverso Forky, dopotutto, diventa potente il messaggio – seppur lo si voglia definire come tale – che esce dalla visione filmica, ossia quello di dare importanza ad ogni cosa, anche all’oggetto più misero, più scadente, più semplicistico. Prerogativa che l’era dello sfrenato consumismo moderno, ha fatto perdere di vista nella psicologia delle nuove generazioni, e dei bambini nel loro rapportarsi con i giocattoli, che sono in fin dei conti i primi veri amici.
Toy Story 4 è un capitolo che chiude una generazione, forse anche più di una. Che irrompe in una storia decennale, e allo stesso tempo la evolve e la stravolge; che emoziona, e non è mai scontato, e che non perde mai lo spirito avventuroso, non dimenticando d’altronde la componente psicologica, profondamente umana, dei graziosi giocattoli. Il tempo e la temporalità in Toy Story 4 sono quelle costanti che uniscono, che dividono, che collegano e soppiantano le narrazioni, e che fanno sentire un po’ cresciuti sia gli spettatori, sia i personaggi.