Noi
Il concetto di copia umana – oltre ad essere presente in molti film di science fiction, con la figura del clone, o dell’androide – è assai variegato. La copia di una persona potrebbe essere tradizionalmente sé stessa, come prima la letteratura e poi il cinema ci hanno insegnato, per effetto del classico sdoppiamento di personalità. Tuttavia, tale argomento lo ritroviamo svilupparsi nell’era tecnologica, a causa della nascita di termini come avatar o il sé digitale, i quali presuppongono l’entrata in gioco di una fotocopia meccanica del nostro io, all’interno del mondo online che spazia dai videogames fino ai social network.
Tutte queste nozioni emergono – seppur in una lettura indiretta – nel nuovo film di Jordan Peele, autore in grande ascesa dopo la direzione di Scappa – Get Out, e dopo la produzione dell’ultimo film di Spike Lee, ossia BlackKklansman. Noi (Us) è una pellicola controversa, e a tratti insensata per lo spettatore durante la visione, eppure affascina, intriga e tiene incollati alla poltrona.
È il 1986, e una bambina di nome Adelaide è in vacanza con i genitori, nella stupenda baia di Santa Cruz. Una sera va con i familiari al parco giochi vicino la spiaggia (che ricorda i fasti della Coney Island del Wonder Wheel di Woody Allen) e improvvisamente si allontana verso la spiaggia, attratta da una struttura ludica, ossia una galleria a tema horror, che ha un’insegna con la scritta “find yourself”. Qui Adelaide incorrerà in un trauma che la accompagnerà per tutta la vita, perché nella stanza degli specchi, vedrà una bambina che non è un semplice riflesso, bensì è una sua copia fisica, come una perfetta sosia. Trent’anni dopo, Adelaide è sposata con due figli, e ritorna proprio in quella Santa Cruz per una vacanza. Sarà una gita che diverrà piano piano terrificante, perché proprio quel trauma ritornerà, e lei, insieme al marito e ai figli, scopriranno di avere, ognuno di loro, una copia di sé stessi, crudele e spietata, e pronta a ucciderli.
Inizia con una pubblicità il film di Peele, quella appunto del 1986 della Hand Across America, nella quale veniva raffigurata una catena umana, volta a sensibilizzare le persone sulla questione della povertà dei senzatetto. La finalità che ebbe tale slogan, diventa il leitmotiv del film, nel quale gli “incatenati”, ossia tutte le copie della popolazione delle città americane, si sentono come animali intrappolati – nel caso del film, come i conigli, che appaiono in alcune scene, tramite un classico montaggio ejzenstejniano – desiderosi di uscire dal bunker degli esperimenti governativi, e di avere voce in capitolo nella sfera sociale ed eliminare del tutto i propri sosia, ritenuti come degli oppressori, o meglio, come degli schiavisti.
La tematica dell’oppressione è ricorrente nella pellicola, e ricorda svariati contesti: l’epoca contemporanea, in cui i robot, gli androidi, o simili, sono degli artefatti dell’uomo, costruiti a sua immagine e somiglianza, per esaudirne i desideri, e essere dei nuovi schiavi. D’altra parte, per un regista come Peele, l’argomento tocca anche la questione sociale in USA – collegandosi per osmosi anche all’essenza della sua precedente opera – perché gli incatenati nella storia statunitense, attraverso contesti drammatici, tragici e sanguinari, sono stati da sempre gli afroamericani.
Le grandi tematiche sociali, politiche, psicologiche e storiche, il regista le vuole sviluppare in un’opera che a tratti sembra distopica, con tinte di thriller e di horror, apprezzabile per una sincera originalità. La pellicola si distingue, inoltre, per la sua costante intensità, lo spettatore infatti si ritrova in un vortice di suspense, di curiosità, e di positiva insensatezza, ammaliato da scene scorrevoli e sapientemente dirette.
Peele costruisce il film come un sadico game, nel quale c’è uno scontro dualistico fra la famiglia di Adelaide e il rispettivo sosia, creando una disputa con l’altro da sé, con la parte malvagia di loro stessi, che cerca di prevalere sull’apparente parte buona. La violenza inizialmente inspiegabile degli incatenati, ricorda film come Arancia Meccanica, o come Funny Games, per via di una inconscia aggressività primordiale.
I molteplici elementi contenutistici, e le tante chiavi di lettura, che un film sfumato e mai totalmente dichiarativo come Us, lascia agli spettatori e agli appassionati, non sono l’unica parte interessante. La regia di Peele è di una maestria apprezzabile, per effetto del suo essere così variegata, e perché dà un ritmo incessante alle scene. Si alternano inquadrature in soggettiva, con improvvisi piani sequenza, e si gioca molto con gli specchi: da quelli in casa, ai vetri delle auto, fino allo specchio televisivo. Infine ci sono alcuni campi lunghi, che allargano la visione prospettica durante le scene action.
Anche la sceneggiatura serve ad inquadrare (negativamente) i personaggi principali: i figli di Adelaide, archetipi della sfacciataggine e dell’irriverenza delle nuove generazioni, il marito, facilone, materialistico e con una sindrome di Peter Pan, e gli amici di famiglia, i Tyler, dei borghesi bianchi che sfogano i propri dissapori interni nell’alcool.
Inoltre, il film si basa sulla contrapposizione tra due copie gemelle, una antitesi dell’altra, e dunque presuppone una grande performance attoriale dei protagonisti. Fra gli altri, spiccano sia la main charachter, Lupita Nyong’o, che conferma il perché abbia già vinto un Oscar, e in alcune scene Elizabeth Moss, un’attrice famosa per serie televisive come Mad Men e The Handmaid’s Tale, la quale si trova a suo agio anche sul grande schermo.
Nonostante le tante cartucce a disposizione, Us, nel complesso, non è di facile ricezione per un pubblico medio, sia per la sua originale (in parte) trama, e sia per le sue tante chiavi interpretative, a causa di una sceneggiatura che dice e allo stesso tempo non dice, come il miglior romanzo postmodernista. D’altronde, è impossibile non ammirare, in un mercato cinematografico globalmente standardizzato, pellicole che spiccano per una già citata originalità, e anche registi come Peele, che si apprestano a diventare le menti più lucide del panorama statunitense.
La catena umana nel 1986 era simbolo di solidarietà, di uguaglianza (in riflesso ad un’altra epocale pubblicità, quella della Coca-Cola degli Anni ’70, presente nel finale di Mad Men), di globalizzazione, e di profonda sensibilità. Negli anni recenti, la catena umana va ricostruita, per formare una società nuova, che faccia uscire il mondo da una forte regressione culturale. Come nella miglior fantasia orwelliana, le nostre copie, in qualunque modo esse siano fatte, sono dei sostituti, dei conigli innocenti e senza peccato, pronti a uscire dalla gabbia.
- Diretto da: Jordan Peele
- Prodotto da: Jason Blum, Ian Cooper, Sean McKittrick, Jordan Peele
- Scritto da: Jordan Peele
- Protagonisti: Lupita Nyong'o, Winston Duke, Elisabeth Moss, Tim Heidecker
- Musiche di: Michael Abels
- Fotografia di: Mike Gioulakis
- Montato da: Nicholas Monsour
- Distribuito da: Universal Pictures
- Casa di Produzione: Monkeypaw Productions, Blumhouse Productions
- Data di uscita: 08/03/2019 (SXSW), 22/03/2019 (USA), 04/04/2019 (Italia)
- Durata: 116 minuti
- Paese: Stati Uniti
- Lingua: Inglese
- Budget: 20 milioni di dollari