Jonas Mekas (1922-2019)
È scomparso lo scorso 23 gennaio, alla veneranda età di 97 anni, il leggendario cineasta lituano naturalizzato statunitense Jonas Mekas, nella sua casa di New York, città dove viveva dal 1949, l’anno in cui dall’Europa post-seconda guerra mondiale emigrò verso gli USA insieme al fratello Adolfas.
Una carriera lunga, intensa e rivoluzionaria, caratterizzata dal manifesto, che poi diventò un vero e proprio movimento cinematografico, del New American Cinema, creato insieme al fratello agli inizi degli Anni ’60, che fu uno dei gruppi più interessanti ed eclettici nella stagione delle avanguardie cinematografiche, come lo potevano essere quelli della Nouvelle Vague o del cinema Novo Brasiliano, sviluppatisi quasi nello stesso periodo.
Gli Anni ’60 furono un decennio di grandi cambiamenti politici, con la stagione dei Kennedy, ma anche di svariati processi sociali e culturali nel territorio statunitense, anticipando la stagione giovanile dei sessantottini. La lotta principale del gruppo di Mekas era quella di contrastare l’industria produttiva hollywoodiana delle Major; che già negli anni precedenti aveva creato un mercato economico e finanziario nel mondo del cinema, trascurando l’importanza delle creazioni artistiche personali, le cosiddette opere d’autore.
Il gruppo d’avanguardia creò così un nuovo cinema indipendente, che oggi sembra un epiteto scontato e a tratti effimero, ma che all’epoca ebbe una grande valenza culturale e sociologica. Questa corrente di registi, a cui poi si rifaranno in parte quelli della New Hollywood in seguito, ossia i vari Martin Scorsese, Brian De Palma, George Lucas, Francis Ford Coppola e altri, decisero di sviluppare un filone cinematografico in cui le pellicole né produttivamente né narrativamente fossero condizionate dalle avare logiche delle grandi case statunitensi.
La creazione del manifesto in primis, della corrente cinematografica in seguito, e della rivista Film Culture, seguendo l’onda dei critici e cineasti Francesi, diede al New American Cinema una filosofia ufficiale; oltre che inizialmente, di essere solo un semplice gruppo distaccato dalle logiche di mercato. Una filosofia talmente forte, come poteva essere quella delle grandi avanguardie artistiche agli inizi del novecento, fra gli altri fenomeni come il futurismo, il dadaismo e il surrealismo.
E di riflesso, la stessa portata innovativa che nel campo artistico aveva la Pop Art di Andy Warhol; figura che entrò in stretto contatto con Mekas, tanto che nel 1982 il regista lituano fece un docu-film sull’artista americano dal titolo “Scene from the life of Andy Warhol: Friendships and intersections”, oltre ad aver partecipato come interprete e come direttore della fotografia nel 1964 al film Empire, un documentario in stile minimalista, di svariate ore, diretto da Warhol, sull’Empire State Building di New York.
Il cinema d’avanguardia di Mekas si intreccia con tutte le novità culturali nelle varie arti: sia con la già citata Pop Art, prevalentemente con Andy Warhol, sia con la letteratura e la musica, dove frequenti sono i suoi rapporti con gli scrittori e i musicisti della Beat Generation, sia con il teatro visionando il Living Theatre, dal quale prenderà l’opera teatrale The Brig nel 1964 per farne un adattamento cinematografico sulla brutalità e la violenza della vita militare dei marines.
Nel complesso gli Anni ’60 furono la grande stagione sia del nuovo cinema di Mekas e dei suoi collaboratori e amici, sia di tutte le avanguardie citate. Le novità si sa non durano per sempre, e già dagli Anni ’70 la linfa vitale di queste correnti (anche di quelle cinematografiche), cominciò a decadere, o almeno a non avere la stessa forza motrice, a causa della continua crescita del consumismo, della globalizzazione, e dei progressi tecnologici.
Questi mutamenti sociali e culturali, nonostante ciò, non ridimensionano la grande carriera cinematografica di Mekas, che anche nei decenni successivi continua nel suo viaggio nel cinema indipendente, diventando un pilastro attivo di questo tipo di cinematografia, caratterizzata dalla sperimentazione, da una visione profonda della realtà, e da uno studio meta-cinematografico delle tecniche e delle narrazioni, quest’ultime completamente eterogenee, con documentari e film che vanno dai mondi romanzati ai cambiamenti sociali, fino alle situazioni politiche.
Oggi in una società prevalentemente omogenea, tecnologica e standardizzata è difficile ritrovare novità, avanguardie, ideologie alternative, come furono quelle del cinema di Mekas. Ora pochissimi registi tentano di evitare le logiche di mercato cinematografico, e tra i più famosi si potrebbero citare cineasti come David Cronenberg, Terrence Malick e altri, anche se certamente non hanno la stessa portata sociale e culturale che ebbero autori come l’artista lituano, nei loro anni di intensa attività.
Con la morte di Mekas muore anche un’epoca, un’era storica che ha caratterizzato il novecento; il secolo più mutuante, sorprendente e dinamico dell’umanità. Un periodo avanguardistico che determinò e confermò che il cinema ha tante facce e sfaccettature, perché è un’arte talmente oggettiva e allo stesso tempo talmente soggettiva, un’arte variabile e completamente duttile, che non può avere logiche e produzioni assolute.
Questo è in parte il pensiero sull’ideologia di cinema, ma anche di vita di Jonas Mekas, che ha sempre incorniciato la sua lunga e fruttuosa carriera. Per chiudere il cerchio, è doveroso riportare le sue stesse parole, il famoso slogan del New American Cinema, che meglio di tutti gli input e/o di tutte le riflessioni tralasciate nell’articolo, possono spiegare che cos’è (anche) il cinema, per dirla alla Bazin, per questo grande autore:
“Non vogliamo film mistificatori, ben fatti, persuasivi, ma grezzi e mal fatti, purchè vitali. Siamo contro il cinema roseo, siamo per il cinema rosso sangue……Oggi la nostra ribellione contro il vecchio, l’ufficiale, il corrotto è innanzitutto di carattere etico. Siamo interessati all’uomo. Siamo interessati a quel che succede nell’uomo.”