Arti Performative Mutaverso Teatro

A due anni da “Esilio” fa ritorno a Mutaverso Teatro la Piccola Compagnia Dammacco. Intervista a Serena Balivo

Andrea Zangari

Un anno fa, in questi giorni d’inizio gennaio, Serena Balivo vinceva ex aequo con Claudia Marsicano (che pure sarà ospite come compagnia Frigoproduzioni a Mutaverso Teatro il 15 febbraio) il Premio Ubu nella categoria “Nuova attrice o performer Under 35”. Due anni fa portava a Salerno, a Mutaverso Teatro, lo spettacolo Esilio con la Piccola Compagnia Dammacco, co-fondata nel 2009 con Mariano Dammacco. E qui a Salerno fa ritorno, stasera 11 gennaio, sul palco dell’Auditorium del Centro Sociale con La buona educazione, ad inaugurare il 2019 della quarta edizione di Mutaverso Teatro, la stagione diretta da Vincenzo Albano / Erre Teatro. Da uno sguardo a questi due anni, e dalla curiosità per il più recente spettacolo che ha debuttato a Primavera dei Teatri l’anno scorso, ottenendo il favore di pubblico e di critica, nasce quest’intervista.

La buona educazione chiude la “Trilogia della Fine del Mondo”, che ha visto la luce nel 2014 e che ha caratterizzato il cammino artistico del duo Balivo-Dammacco. Un cammino sotto l’ombrello di un progetto unitario, segnato da un linguaggio drammaturgicamente e scenograficamente teso tra l’afasia delle depressioni d’oggi e fughe liriche dai tratti onirici. Tre spettacoli che trattano di altrettanti tipi umani di fronte alle proprie crisi, fortemente incentrati sul lavoro dell’attore per piantare semi di verità sulle assi feconde dei palcoscenici. 

Serena Balivo ne “La buona educazione”. Foto di Luca Del Pia

Inizio gennaio, tempo di Ubu. Proprio un anno fa hai ricevuto il premio nella categoria nuova attrice Under 35. Ad oggi ritieni che il riconoscimento abbia influito sulla tua/vostra produzione, sia in termini personali che di ricezione presso il pubblico?

A livello personale è stata una grande gioia, una straordinaria gratificazione e un potente incoraggiamento a proseguire il lavoro. Non saprei dire se è cambiato qualcosa per gli spettatori dei nostri spettacoli.

 

Due anni fa, nel 2017, portavate a Mutaverso Teatro Esilio. Che ricordo ti porti del pubblico salernitano e che effetto ti fa tornare sulla stessa scena, sulla scorta di questi due anni di successo? 

Di Salerno abbiamo un ricordo bellissimo. È sempre una esperienza forte e interessante tornare a incontrare gli spettatori di una città o di uno stesso teatro, prima con uno spettacolo e poi il successivo, e via così. Con Mutaverso e Salerno siamo già al secondo incontro. Tra Piccola Compagnia Dammacco e Vincenzo Albano si è creato nel tempo un bellissimo dialogo, siamo molto felici di tornare a Salerno e mettere un altro mattoncino nella costruzione di questo dialogo.

 

Con “La buona educazione” tu e Mariano Dammacco portate a termine la trilogia della fine del mondo. Allora cogliamo occasione per riprendere il senso di un lavoro articolato, in retrospettiva. Perché proprio una trilogia? C’è stato sin da subito un intento unitario? 

Quando con Mariano abbiamo scelto di provare ad avviare un percorso di compagnia, abbiamo pensato che dovevamo darci un compito, e così è nato il progetto della Trilogia della Fine del Mondo. Il progetto è consistito nel porsi l’obiettivo di realizzare tre spettacoli con drammaturgia originale e soprattutto di ambientare le visioni e le storie di questi spettacoli nel nostro oggi, rinunciando alla mediazione di un mito o di un’opera di letteratura o di un testo tradizionale della Storia del teatro.
Abbiamo pensato di fare questo attraverso tre spettacoli, per darci il tempo di approdare a una nostra pratica di lavoro comune e a una identità stilistica, e al tempo stesso poter agire delle variazioni al suo interno.

 

La fine del mondo è un tema che attraversa la storia dell’umanità, da cui sempre sono sgorgati repertori creativi di sommo interesse. Che cos’è per te questa fine del mondo? Quale è il mondo che finisce? E, se c’è, com’è il mondo che continua? Che ruolo hanno gli attori in questo mondo sospeso tra scomparsa e sopravvivenza? 

Per Mariano, autore dei testi che io porto in scena, e quindi anche per me che condivido i processi di lavoro e le scelte di Mariano, la Fine del Mondo allude a un tratto della nostra epoca, un mondo è finito e bisogna prepararsi a un mondo nuovo e poi come titolo vuole giocare con le estetiche e gli scenari del genere distopico.
Personalmente come attrice scelgo di fare teatro, di fare un teatro centrato sulla conoscenza delle tecniche e dei mestieri e sull’efficacia scenica, per il piacere dello spettatore, senza mai rinunciare a condividere domande, dubbi e sguardi sui punti critici o dolenti della vita della nostra comunità.

“La buona educazione”. Foto di Luca Del Pia

Ne “La buona educazione” sei sola, sulla scena, con le suggestive installazioni di Stella Monesi. Forse anche per questo in molti hanno definito il tuo lavoro come eminentemente incentrato sulla parola e sul testo. Noi vogliamo invece chiedere a te come hai lavorato sul rapporto fra drammaturgia e parola, e fra quelle e la voce, il gesto, la scenografia.

Partirei dallo spazio scenico ideato da Mariano e Stella e realizzato da Stella. Quando sono in scena, i faretti, le cosiddette lucciole, che mi circondano, poste sul pavimento a illuminare la vera terra sulla quale mi muovo, la terra stessa sotto i miei piedi, la presenza, tra l’altro nella penombra, delle sculture antropomorfe create da Stella, mi offrono già un primo compagno di lavoro, un “luogo”. E poi c’è il testo, territorio di incontro tra il lavoro di Mariano e il mio; c’è il testo, la vicenda che racconta, le immagini che contiene, le sue qualità ritmiche o musicali, e c’è il lavoro con il testo, le analisi del testo e l’incontro tra il testo e il corpo, la voce e tutto il corpo e pian piano nasce il carattere della figura da agire sulla scena.

 

Immagine di copertina: “La buona educazione”. Foto di Luca Del Pia



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