Moni Ovadia // Dio Ride – Nish Koshe
A venticinque anni dallo storico spettacolo teatrale Oylem Goylem, Moni Ovadia ha ripreso, per portarle sul palco, le storie del popolo ebreo. L’esito di questa ripresa è Dio Ride – Nish Koshe, che è andato in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano dal 2 al 14 ottobre.
Come accadeva un quarto di secolo fa, anche qui l’attore e musicista veste i panni dell’ebreo Simkha Rabinovic, cantastorie itinerante accompagnato da cinque amici in esilio, incarnati dall’omonima Moni Ovadia Stage Orchestra, formata da Maurizio Dehò (violino), Luca Garlaschelli (contrabbasso), Albert Florian Mihai (fisarmonica), Paolo Rocca (clarinetto) e Marian Serban (cymbalon).
Le luci sono soffuse, i canti religiosi e tradizionali tra una storiella e l’altra evocativi e solenni, l’atmosfera familiare: il pubblico, infatti, conosce da tempo il repertorio umoristico e ironico dell’artista di origini bulgare cresciuto a Milano, ma si diverte come se ascoltasse le barzellette per la prima volta, compresa la più celebre di tutte, quella della “fetta di pane caduta dalla parte non imburrata”, e quindi, “dalla parte sbagliata”. La filosofia leopardiana del raccontare ridendo – Tengo pure per fermo che il ridere dei nostri mali sia l’unico profitto che se ne possa ricavare, e l’unico rimedio che vi si trovi (G. Leopardi, Operette morali) – fa ancora una volta breccia: gli aneddoti del “rapsodo”, infatti, si susseguono con un ritmo incalzante, intervallati dalla musica coinvolgente dell’orchestra che intona, nel meraviglioso finale, la preghiera Avinu Malkeinu, corrispondente al cattolico Padre Nostro. Si percepisce, inoltre, il bisogno e l’urgenza di osservare ancora una volta la complessità di una terra – promessa ed eletta “per sfiga”, ironizza Ovadia – in tempi storici altrettanto drammatici, futuribili di barriere e confini, e in cui il diverso costituisce una minaccia: non è casuale che le immagini proiettate sullo schermo retrostante mostrino alcuni dei muri più tristemente celebri della storia recente, da quello di Varsavia a quello del Pianto. Cos’è un muro? L’assoluto, ovvero ciò che impedisce la comunicazione, suggerisce Ovadia.
C’è infine la religione ebraica, quel grande mistero verso il quale l’artista, pur professandosi agnostico, nutre un interesse considerevole. Coadiuvato dalle letture della Torah, della filosofia (Lévinas) e del cinema neorealista (Zavattini), Ovadia ripercorre in chiave paradossale la storia di Saul e celebra lo shabbat, ovvero la festa del riposo; mette in scena la baruffa tra due ebrei che litigano per un pezzo di terra, quello destinato alla loro sepoltura (“non litigate, spetterà al primo che vorrà andarci”, scherza il rabbino). Il dialogo reiterato tra la fede e l’ateismo si conclude con una massima grazie alla quale l’artista strappa un ultimo sorriso al suo affezionatissimo pubblico: “Il buon Dio nella sua infinita misericordia sopporta i credenti ma predilige decisamente gli atei”.
DIO RIDE – NISH KOSHE
di e con Moni Ovadia
e con le musiche dal vivo della Moni Ovadia Stage Orchestra: Maurizio Dehò, Luca Garlaschelli, Albert Florian Mihai, Paolo Rocca, Marian Serban
luci Cesare Agoni, Sergio Martinelli
scene, costumi ed elaborazione immagini Elisa Savi, progetto audio Mauro Pagiaro
regia Moni Ovadia
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano e Corvino Produzioni