#InAria si sta bene, ad Alvito di più
PREMESSA. IN FIERI
Arrivo ad Alvito, ridente comune montuoso della Ciociaria, nella tarda mattinata di venerdì 27 luglio. A quest’altezza mi accompagna Livia Antonelli, una delle organizzatrici di CastellinAria – Festival di Teatro Pop; seguirò le “battute” finali di un evento cominciato il 21 luglio e protrattosi per ben sette giorni. Non è facile trarre le conclusioni partendo dalla fine – rifletto tra me e me – ma avverto da subito che il “the end” di questa esperienza è come il ritornello in dissolvenza di Hey Jude dei Beatles. In fieri. Sì, perché questa è l’edizione zero del festival, come dicono scherzosamente (la già citata) Livia Antonelli, Niccolò Matcovich e Chiara Aquaro, i componenti della Compagnia Habitas senza cui, insieme a Ivano Capocciama, questa satura lanx materiale ed emozionale non sarebbe mai stata assaggiata.
TRA IL DIRE E IL FARE C’E’ DI MEZZO IL PROVARE
Alle ore 16 in una delle sale del Teatro Comunale di Alvito abbiamo assistito all’incontro tra il Progetto CReSCo, rappresentato in questa occasione da Hilenia De Falco (Interno5) e giovani compagnie teatrali (Compagnia Habitas, bologninicosta, Anonima Sette, Vulìe Teatro, Collettivo Controcanto, Isola Teatro, Rueda Teatro), che imbastiscono un dibattito sulle esigenze di produzione e distribuzione nel teatro contemporaneo. Dopo una breve presentazione, Hilenia De Falco ha illustrato le modalità attraverso cui i tavoli di lavoro di CReSCo (finanziamenti, delle idee, internazionale, etico, fondi strutturali europei, formazione, welfare) contribuiscono a migliorare le criticità inerenti alla produzione e alla distribuzione. Le istanze presentate dalle compagnie emergenti sono state sostanzialmente due: la nascita, all’interno delle realtà teatrali più piccole, della figura di “un osservatore esterno” che possa garantire la visibilità degli spettacoli recandosi di persona nei luoghi in cui questi nascono; l’ottenimento di risposte più articolate da parte dei giurati che valutano e scartano l’operato dei partecipanti ai bandi di riferimento.
Dalle ore 18 alle 20 abbiamo assistito agli esiti finali dei laboratori B CLOWN a cura di Andrea Cosentino e C’ERA QUELLA VOLTA CHE a cura della compagnia bologninicosta. Aspiranti e giovani attori di provenienza ed età diverse si sono messi in gioco realizzando sia performance strutturate, sia lavorando sull’improvvisazione, come nel caso di B CLOWN, che nasce dalla volontà di conferire all’azione scenica una componente di estemporaneità incarnata dalla figura comica per antonomasia, il clown. Durante la restituzione finale dei partecipanti al laboratorio, particolarmente gradita è stata la parodia di un improbabile “Edipo a Trasacco” (Trasacco è un Comune abruzzese misconosciuto) dalla quale è nato un esilarante siparietto basato sulla sagacia dei calembour.
Cosentino ci ha inoltre spiegato in maniera più dettagliata l’importanza dell’improvvisazione nei processi di creazione drammaturgica e la scelta dello stile comico come approccio declinabile in diverse modalità.
Il laboratorio di bologninicosta, invece, ha una matrice itinerante: la performance non si svolge sul palcoscenico, ma nelle strade del paese, dove i rintocchi della campana, il clacson strombazzante di un’auto, la vecchietta affacciata alla finestra diventano imprevedibilmente e casualmente parte integrante della “scena”. Il laboratorio C’ERA UNA VOLTA CHE nasce con lo scopo di “trapiantare” nella storia attuale e contemporanea della comunità cittadina quella di un tempo, di modo che quella volta diventi hic et nunc o, più fiabescamente, facciamo che c’è. L’assemblaggio delle narrazioni portate in scena nei giorni precedenti ha dato vita ad uno storytelling che getta le sue fondamenta sulle vecchie tradizioni popolari, come nel caso del cosiddetto rito prettamente meridionale dell’ “esposizione del lenzuolo” che costringeva le donne a provare pubblicamente la loro verginità dopo la prima notte di nozze e che da tempo è diventato oggetto di rivisitazione artistica (si pensi allo Sponz Fest di Calitri – tra l’altro imminente – nato da un’idea di Vinicio Capossela, dove il rito è diventato fondativo, collettivo e ricorrente).
Abbiamo chiesto le sensazioni a caldo di questa esperienza laboratoriale ai diretti interessati, Dario Costa e Sofia Bolognini.
In questo periodo storico così drammaticamente complesso, nel quale la cultura è ancora considerata ai margini della società e non ne rappresenta il suo pilastro fondante, l’avvicinamento al teatro delle giovani e delle giovanissime generazioni – attraverso esperienze embrionali come quelle dei laboratori portati all’interno di questo festival – testimonia un bisogno che non può e non deve restare né intentato né inascoltato. Tra il dire e l’agire c’è uno spazio importantissimo, forse quello che troppo spesso il ristagno della politica ci induce a reprimere, ossia il provare: a fare teatro, a raccontare uno spettacolo, un’esperienza, delle storie, come nell’altro laboratorio, di interrogazione attorno all’evento performativo secondo un approccio critico, Lo sguardo nel Castello, condotto da Andrea Pocosgnich della webzine TeatroeCritica.
Dare parola all’arte non è detto che riesca a tutti e non tutti possono sperare di riuscirci, ma è giusto mettere ciascuno nella condizione di costruire, se non un capolavoro – parola sulla quale si è dibattuto non poco in questo frangente – un lavoro.
E INFINE, IN ARIA…
Al calar della notte, fresca ma non pungente, ci si sposta dal paesino al Castello Cantelmo che, molto suggestivamente, troneggia sulla Valle di Comino. L’eclissi lunare e la presenza di un manto di stelle che sembra così vicino da essere tangibile mi invogliano a credere che le coincidenze siano delle piacevoli fatalità. Che la stella cadente che ho visto irrorare il cielo volesse essere preludio di novità?
Alle 21.40 circa comincia lo spettacolo Abu sotto il mare di e con Pietro Piva, nato dalla volontà dell’artista di affrontare il tema dell’immigrazione in termini fiabeschi, con la voce e con gli occhi di un bambino, Abu, appunto, che arriva dalle coste del Nord Africa. Abu è letteralmente sotto il mare: il suo viaggio verso la salvezza è infatti un microcosmo a forma di valigia – rosa, un colore che non gli appartiene – dalla quale inventa storie ed evoca ricordi (lo spettacolo è infatti nato da una fotografia di un bambino dentro una valigia passato ai raggi X alla dogana di Ceuta). Il monologo sul palcoscenico è per Abu un dialogo che avviene con un interlocutore ordinariamente fiabesco, la fatina (voce, solo a tratti, fuori campo). Caratterizzata da uno zaino invicta che significa, letteralmente, “non vinta”, questo personaggio immaginifico è una sorta di alter ego di Abu che, parimenti, non si piega (se non in valigia) perché dal mare non è stato e non sarà vinto.
La parte conclusiva della serata è canonicamente dedicata ai ringraziamenti e alla consegna del Premio Rete VisitAlvito, che viene vinto da Alessandro Blasioli per lo Questa è casa mia, andato in scena il 25 luglio.
Tra applausi e foto ricordo, ci si avvia alla “chiusura” dell’aspetto propriamente teatrale del festival; si lascia ora spazio alle specialità enogastronomiche della valle e soprattutto alla musica dal vivo con Mario Insenga & Blues Stuff, una blues band di origini napoletane sulle cui note musicali si balla, si canta, si ride, si chiacchiera e si anticipa il momento di massima aggregazione, quello del lancio dei palloncini in aria – riprendendo fedelmente l’hashtag del Festival, #inaria – che suggella, con le illusioni che pure abbiamo bisogno di alimentare e concretare con l’arte, il senso di quella domanda che è stata posta a tutti durante questi giorni: «Che cosa ti fa sentire in aria?». La risposta è nel vento, ci direbbe Bob Dylan.
(Immagine di copertina di Simone Galli)
Per approfondire:
#InAria. Immaginando di stare in aria per uscire a riveder le stelle
#InAria. Coincidenze o affinità elettive?