Motus // Panorama
C’è tanto da dire su Panorama, lo spettacolo teatrale presentato al festival FOG della Triennale dell’arte di Milano. Ideato dalla Compagnia riminese Motus, prodotto dal teatro dell’east village Newyorkese La Mama ed interpretato dalla compagnia ivi residente Great Jones Company, Panorama si presenta già in termini di collaborazione come un progetto di risonanza internazionale e destinato quindi ad attraversare paesi e continenti per mettere in scena l’ancestrale fenomeno della migrazione umana con tutte le sue implicazioni di tipo emotivo, psicologico, storico e culturale. Una telecamera poggiata su un treppiedi, un grande schermo a fondo palco e due monitor verticali posti lateralmente compongono il set di un provino per aspiranti attori da selezionare per la rappresentazione dello spettacolo stesso, una sorta di flaschback sulle origini del lavoro messo in scena. A turno gli attori si avvicendano dinanzi alla telecamera presentando se stessi e le loro vite ma subito viene in risalto un gioco di sovrapposizione delle identità, provocata dalla confusione nel genere e nelle biografie le quali si incrociano interscambiandosi e sfidando la normale tendenza a sistematizzare l’umanità in categorie d’appartenenza quali la provenienza geografica, la nazionalità, la classe sociale, il genere sessuale.
Questi confini scivolosi diventano così preludio alla narrazione personale e collettiva degli attori che ripercorrono le loro vite o quelle dei propri genitori, racconti di migrazione verso gli Stati Uniti ma prima ancora verso se stessi, all’inseguimento del proprio posto nella storia e nel tempo. La migrazione intesa quindi non solo come spostamento geografico o come questione attinente agli equilibri della geopolitica,in Panorama l’accezione si allarga ad un movimento più profondo, una traslazione intima che si muove nei tortuosi meandri della scoperta di se’ e dell’appropriazione della propria esistenza, un “andare verso piuttosto che un fuggire da…” (come recita uno degli interpreti) rivendicando uno spazio libero, una zona franca lontana dalla ripida tendenza al preconcetto. La drammaturgia di Panorama viene quindi imbastito sul materiale umano che gli interpreti stessi mettono a disposizione; su di esso Erik Ehn (il drammaturgo americano da cui Motus si lascia assistere) passa le mani sbavandone i contorni e creando una storia a macchia d’olio in cui ciascuno racconta la propria esistenza ma anche quella di un altro. In tutto questo scenario senza precise definizioni lo sguardo dello spettatore si muove in maniera nervosa tra la scena ed i monitor, tra registrazione e spettacolo dal vivo, tra la vita reale e la rappresentazione scenica. Certo è che la vocazione all’impegno civile della compagnia riminese dei Motus è in questo lavoro rappresentata in tutta la sua urgenza. È chiaro infatti che l’intento non è quello di scavare a due mani nell’emotività degli artisti interpreti dello spettacolo, quanto piuttosto quello di portare in luce le dinamiche storiche e contemporanee legate ai fenomeni migratori ed alla loro difficile integrazione all’interno degli equilibri mondiali, rappresentati soprattutto dalla politica della neo presidenza Trump negli Stati Uniti d’America.
Paura, fragilità, disagio sono tutte declinazioni dello stesso momento storico fatto di assoluta incertezza e di regressioni verso nazionalismi e rigide chiusure culturali. Panorama mette quindi sul palco lo sbilanciamento provocato da una certa tendenza a rivendicare il diritto di fluttuare da una condizione all’altra e da una geografia all’altra, di fronte a fenomeni che di contro vanno in direzione di una separazione coatta di questo e quello e del dentro e fuori da confini geografici ben definiti.
La compagnia interetnica del La Mama interpreta quindi in maniera autentica l’idea che è alla base dello spettacolo: i vissuti personali si intrecciano tra di loro e vengono completati da una narrazione multimediale data dal contributo della tecnologia che fa da framework a tutta la rappresentazione fatta di video, registrazioni, e spezzoni di film capisaldi della cultura cinematografica italiana che portano la firma di Antonioni e Pasolini. La scenografia dello spettacolo completa il composito storytelling attraverso un sapiente uso di luci fluorescenti al confine tra il grottesco e il surreale ma soprattutto mediante un finissimo gioco di accompagnamento delle riprese dirette degli attori sul palco con una rielaborazione artistica della loro stessa immagine proiettata sul fondo del palcoscenico. Ciò riesce a conferire una dimensione prospettica alla narrazione in termini di corredo didascalico e rende ancor più sbiadita la linea di confine tra reale e surreale. “Chi sei?” è la domanda che viene posta agli attori che portano in scena una reale situazione di incontro con la regia dello spettacolo, una domanda apparentemente banale ma la cui risposta non può arrivare nè immediata nè scontata se non tenendo in considerazione il fatto che ciascuno è sintesi e risultanza di circostanze diverse e il più delle volte fortuite come il contesto di provenienza, i flussi seguiti e gli incontri avvenuti.
Panorama è pertanto uno spettacolo che attraversa le turbolenze dei movimenti umani, quelli fisici e quelli interni. E in tutto questo vissuto fatto soprattutto di anfratti senza luce, l’arte si inserisce come elemento catartico, capace di cicatrizzare le fenditure e pacificare i frantumi in un caleidoscopio che diventa al contempo lo specchio ed il prisma dell’animo umano.