“Incontri”: il femminile messo a nudo negli scatti di Paolo Roversi
Nella Milano da bere, che i milanesi hanno costruito in Corso Como, ci si può concedere invariabilmente un tacco 12, uno spritz post prandiale, una mostra en passant. Questa metropoli pressoché bulimica ha il potere di “scaraventarti” nei suoi altrove senza preavviso: così, dopo essere entrati nella Galleria Sozzani di Corso Como 10, ci si trova prima a sfogliare un libro di architettura contemporanea e poi a visitare le sale della galleria stessa. Dal 17 novembre e fino allo scorso 18 febbraio, in questo luogo assordante – e privo della riflessività necessariamente consequenziale alla contemplazione dell’arte – si è stati “rapiti” dalla fotografia di Paolo Roversi (1947), ravennate che espone i suoi scatti raccolti nella serie Incontri (di per sé un titolo affascinante e dalle disparate esegesi: l’incontro tra il cultore e l’artista? L’incontro tra l’immagine e la parola? L’incontro tra l’artista e le sue muse?). Bipartite e/o tripartite, le foto di Roversi appaiono tutte legate dalla stessa tematica: il nudo femminile – tema molto caldo in tempi di femminismo e, in senso più largo, di rivelazione della centralità della donna nell’arte (tra parentesi: fa storcere il naso l’idea che il mondo del femminile debba essere tuttora filtrato soprattutto dalla sensibilità maschile). La personale percezione che deriva dall’osservazione delle foto è quella di un paradigma femminile pressoché antifemminista: la donna è talora imbronciata e pudica, essenzialmente ritrosa nel suo essere senza veli, talaltra algida e atarassica, come se il suo corpo fosse una prigione dalla quale è impossibile evadere. Della donna di Roversi viene sempre a mancare l’aspetto dell’ilarità finalizzato ad affermare con orgoglio e consapevolezza la propria femminilità. Meglio riuscita è la rappresentazione della multietnicità – anche questa scelta si inserisce all’interno di un tema altrettanto scottante – espressa da una figura femminile africana, che sorride all’obiettivo, mentre la vaporosità dei suoi ricci viene compressa da un cappello alla moda. L’eleganza del femminile trova ragion d’essere nella rappresentazione di due modelle gemelle, indivisibili e specchio riflettente l’una dell’altra; questa parvenza di omologazione si riversa, forse contraddicendosi, in un trittico di lynchiana memoria, dove la figura evanescente di una donna raffinata viene composta, scomposta e ricomposta: l’evidente esaltazione della forma geometrica, che ha sempre affascinato l’artista.