#CinqueStelle. Un anno in pellicola
Il 2013 in pellicola riassunto in cinque buoni motivi a cinque stelle. Selezione di Cristina Lucarelli.
Ossessione perversa e rapsodia maniacale intervengono – quasi inevitabilmente – sullo spirito di ogni critico cinematografico in concomitanza dell’ultimo dell’anno. E allora ci si prepara, con cura certosina, a stilare quelle classifiche che tanto amiamo eppure detestiamo perché non riusciamo mai a scrivere tutto ciò che vorremmo. Ma, come dice un proverbio africano, “Puoi svegliarti anche molto presto all’alba, ma il tuo destino si è svegliato mezz’ora prima di te”; orsù dunque, non temiamo la sfida e andiamo ad incontrare e affrontare il fato che, ancora una volta, ci impone cinque scelte: le migliori cose del mondo cinematografico apparse nell’anno appena trascorso, film, attori, registi, iniziative, qualsiasi cosa abbia a che fare con la settima arte targata 2013. Croce e delizia sia, allora.
5. Progetto “Web Movies”. Linea editoriale progettata e realizzata da Rai Cinema e Cubovision di Telecom Italia, Web Movies è destinato alla rete internet, con lo scopo di aprire una filiera di sfruttamento alternativa alla sala tradizionale. Non solo, perché il canale multimediale serve anche come vetrina a giovani autori e piccole produzione. Un’iniziativa per conoscere e promuovere un cinema forse a basso costo, ma non per questo meno interessante.
4. Mia Wasikowska. Giovanissima – è nata nel 1989 – e davvero sorprendente, un gradino sotto il podio di questa personalissima classifica, troviamo l’attrice australiana Mia Wasikowska. Conosciuta ai più per essere l’Alice di Tim Burton, l’interprete di Canberra ha fatto del 2013 la sua stagione migliore: con una carriera nel cinema autoriale e indipendente, ha stupito tutti con il suo lavoro in Stoker di Park Chan-wook, è stata voluta da Jarmusch per Only Lovers Left Alive ed è la protagonista di Tracks di John Curran, pellicola che porta avanti quasi completamente da sola. Determinata e poliedrica.
3. Tom à la ferme. Terzo classificato l’ultimo lavoro del regista canadese Xavier Dolan (25 anni), Tom à la ferme, vincitore del premio FIPRESCI durante l’ultimo Festival di Venezia. Melò gay tratto dalla pièce teatrale del drammaturgo Michel Marc Bouchard, il quarto lungometraggio del giovane cineasta respinge ogni dogmatismo, affrontando la tematica dell’omosessualità attraverso la lente dell’ambiguità, attraverso il dispositivo frustrante del desiderio annientante, attraverso il gioco sadomasochista di ruoli intercambiabili. Sfrontato, irriverente, emozionale, quasi fino all’eccesso. Una libertà di espressione spericolata ma molto curata.
2. Locke. Medaglia d’argento per il thriller “alla guida” di Steven Knight – sceneggiatore de La promessa dell’assassino – presentato fuori concorso a Venezia ’70. Ottantacinque minuti bastano ad un’opera coraggiosa come questa, una sorta di video-installazione psichedelica: strade “bruciate” da auto in corsa, illuminazioni che infrangono il velo malinconico del buio, la notte come il tempo “X” in cui, in un modo o nell’altro, tutto si compie. E poi Tom Hardy, unico protagonista, unico volto che ricorre in tutto il film: bellissimo e struggente, si conferma come talento puro anche quando non recita con il fisico ma solo con le emozioni del volto. Un coacervo emozionale che si dissolve in una dolcezza straniante.
1. Django Unchained. Oro per il maestro Tarantino, che si conferma ancora una volta genio assoluto della settima arte, con l’ultimo capolavoro Django Unchained. Quentin si fa di nuovo portavoce degli oppressi come in Bastardi senza Gloria, e di nuovo precisa quale è la sua idea di cinema, con tutto l’amore e la passione di cui è capace. Il lungometraggio più lineare – temporalmente parlando – del teppistello di Knoxville è la vera essenza del suo divenire: una struttura narrativa e linguistica più audace, meno controllabile, ma che non esclude il mondo dell’eccesso a cui ci ha sempre abituati, simulacro autoreferenziale e imprescindibile. Grandiosamente interpretato da tutti (primeggia il solito Waltz), Django è un omaggio allo spaghetti-western, ma non si colloca nel “puro western”. Django è “puro Tarantino”, luce che illumina lo spettatore per 2 ore e 45 minuti che sembrano passare troppo in fretta. Imperdibile.