Musica Nuove Uscite

Panama – Piramidi

Carmen Navarra

Sullo sfondo della copertina di Piramidi, album d’esordio solista di (Luciano) Panama si stagliano i grattacieli assolati di una metropoli occidentale. L’ascolto delle otto tracce che compongono questo disco spinge a credere che si tratti di una grande metafora: la piramide come simbolo di un capitalismo dilagante («L’aria del mio tempo che vomito»Hey My) e come barriera/ostacolo al dispiegamento di una libertà che si vuole raggiungere in modo sempre più febbrile. Panama, fondatore nel 2000 degli Entourage (con cui, tra le altre cose, ha vinto l’Arezzo Wave Sicilia nel 2006) approda con Piramidi ad un cantautorato interessante e intelligente, anche se non sempre autentico: l’indie italiano ci ha abituati, sin dalla nascita di gruppi come Afterhours e Marlene Kuntz, ad un impianto strutturale simile (intro con chitarra acustica, virate rock più o meno sofisticate, lirismi narrativi). Pertanto questa ri-produzione, in senso letterale, induce a qualche perplessità. Eppure Panama, rasentando il già detto e il già suonato, prova a ritagliarsi un suo spazio, sottolineando con un timbro vocalico graffiante ed acuto, la necessità di raccontare una storia (la sua) in mezzo a tante («Sono le storie della vita, proprio quelle, a trascinare la mia bocca», Ti solleverò). Le ossa, singolo che aveva anticipato l’uscita dell’album e primo pezzo dello stesso, ci introduce – complice un videoclip singolare che presenta una donna nuda nell’atto di avvinghiarsi ad uno scheletro – al leitmotif  dell’album: l’amore, vissuto, tuttora vivente, potenzialmente vivibile. Questa genuinità narrativa trova conferma nel rock più aggressivo di Man («Io sono quello che ora fa per te: un cielo azzurro che ora sa di te») e nel rock più soft di Come aria («E tu sarai la mia più grande emozione che si respira come aria»). Con chiazze di colore che talvolta si sbavano per l’accostamento – a tratti ovvio – alla musicalità e alla vocalità di Agnelli (L’osservatore, Gente del presente), questo disco breve “annaspa” nella parte finale: il rock duro e potente di Hey My, che evoca per titolo e composizione quello di Neil Young, racconta un’idea frammentata ed evasiva di una polemica a sfondo sociale che continua, in modo più sostanzioso, nell’ultimo pezzo del disco: Messina pace e amore. Il rimando, stavolta, è alle origini sicule dell’artista, il quale cura bene l’aspetto musicale (chitarra acustica nell’intro, violini e violoncelli nervosi nel prosieguo), mostrandosi inoltre sincero nella ricostruzione di una città faticosa da vivere: «Messina che è immobile, ma poi ti sfiora». Una storia che diventa una canzone, per dirla con le parole dello stesso Panama. Da smussare meglio in alcuni punti, si potrebbe aggiungere.



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