Musica Nuove Uscite

Cody Chestnutt – My Love Divine Degree

Maria Ponticelli

A cinque anni dall’uscita dell’ultimo disco ed a quindici dal fortunato album d’esordio, Cody Chestnutt torna con una nuova produzione e lo fa con la disinvoltura di chi sparisce per un po’ per poi tornare e dire “dov’eravamo rimasti?”.

Chestnutt con il suo soul che sa di afro-funk, che ammicca al reggae, che allude al rock… insomma, l’artista statunitense non ha bisogno di licenze e non aspira alla coerenza, ma piuttosto chiede di infilare la mano nel cappello e tirare fuori un pezzo del variopinto patchwork che anche stavolta ha imbastito senza troppo pensarci sù, dal titolo My Love Divine Degree. Tracce diverse non solo per commistione di generi ma anche per testi e “consistenza”: un brano di ventisei secondi,  con un “anything can happen without you” ripetuto fino alla fine, non è cosa che si concede a tutti, soprattutto se si tratta della opentrack di un album di  quattordici tracce.  É probabile però che non sia esattamente la fiducia negli ascoltatori, acquisita con i due lavori precedenti, ad aver sguinzagliato il potenziale anarchico di Chestnutt; alcuni testi dell’album – insieme ad un profondo sentire spirituale di cui l’artista non ha mai fatto mistero – hanno ispirato il canovaccio sul quale è tessuto l’intero lavoro. La complessità del vivere e la possibilità di confidare nella presenza di un amore divino sono la motrice dei quattordici brani che costituiscono lo storytelling del personale percorso di Cody, un cammino di continua ricerca ed ascolto di se stessi alla luce della presenza di Dio. L’artista ha scelto la musica per tradurre in suono ciò che, certo, potrebbe essere comunicato a parole, ma non avrebbe evidentemente la stessa capacità di impressione. Forse è per questo motivo che la transcodifica dei contenuti è avvenuta attraverso più generi musicali, perchè ciò che bisognava dire non incontrasse alcun’ ostacolo legato alla capacità di ascolto di un genere o di un altro. O forse perchè l’artista, consapevole della profonda complessità della società contemporanea, caratterizzata dalla necessaria coesistenza di fenomeni eterogenei e  persuaso al contempo dell’indistinta presenza di Dio nella vita degli uomini, ha ben pensato di mescolare le tessere del puzzle senza limitarsi a metterle semplicemente in fila ma lasciando che queste si congiungessero in una forma non definita (si ascolti ad esempio Africa the future in salsa afro-funk), per dare vita ad una realtà musicale composita ed imprevedibile.  L’artista stesso d’altronde dichiara “ (…) the deeper listening, love and a greater sense of humanity is still the way forward to a healthier and more fruitful human experience» dove per “deeper listening” Chestnutt intende probabilmente la dinamica di connessione profonda che si stabilisce all’ascolto di un brano che – per usare un’espressione gergale – rientra nelle corde di chi ne fruisce.

Per tal motivo quindi è facile immaginare che un pezzo house come Peace (side by side), così come uno reggae alla pari di Shine on the Mic o come I stay ready dal gusto hip-hop, possano generare le stesse sensazioni di autentica connessione con se stessi e, nelle intenzioni dell’artista, con una dimensione trascendente e conciliante. La musica come ponte quindi che va al di là della semplice fruizione transitoria e temporanea e che diventa un vettore di stabilità o, per dirla con le parole di un noto cantautore italiano, “un centro di gravità permanente”.

D’altra parte la cover dell’album è anche il biglietto di presentazione dell’intero lavoro; non conoscessimo Chestnutt o non avessimo ascoltato il suo ultimo disco, non capiremmo probabilmente l’immagine che vi è rappresentata. In un primo momento si potrebbe pensare che quella dietro alla testa dell’artista, raffigurato in copertina, sia un’aureola che preannuncia un album dal gusto messianico ma, ad uno sguardo più attento, risulta chiaro che si tratta della  carta del mondo, che ci introduce ad un disco in pieno stile world music.

Il tutto fa pensare alle suggestioni della musica cosmica ma sarebbe un’etichetta troppo semplice da apporre e comunque infileremmo l’album in una precisa categoria. Niente di più errato per Cody che ci fa dono di un disco indefinibile che sfugge a qualsiasi definizione che non sia l’eterogeneità.



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