Live. Festival MANN – Muse al museo
Si è svolta la prima edizione del festival Mann – Muse al museo, il festival delle arti nato dall’intuizione dello stesso direttore Paolo Giulierini e che dal 19 al 25 aprile ha portato numerosi visitatori al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, non solo per la consueta visita ai tesori del passato che vi sono conservati ma anche per celebrare l’esperienza dell’arte in tutti i suoi linguaggi. Nessuna forma espressiva resta fuori dalle spettacolari sale del museo: la musica, la danza ma anche il cinema e la poesia si raccontano tra le meravigliose statue della collezione Farnese o sotto il soffitto affrescato del salone della Meridiana.
Diversi gli incontri con gli autori e gli spettacoli serali: ne abbiamo seguiti alcuni tra cui il concerto di Carmen Souza, cantante portoghese di origini capoverdiane
Il concerto di Souza prende il titolo dall’ultimo album Creology ed è ospitato nella sala Teatro, un piccolo gioiello che si lascia apprezzare per i magnifici stucchi del soffitto a volta. Vestita dei colori della gioia e della vitalità della natura capoverdiana l’artista, voce duttile dal vibrato che incanta, dà il via al concerto con un “It’s great to be here – e prosegue – this is a beautiful place, it inspires me” poi coinvolge il pubblico chiedendo di battere le mani, prima di sedersi al pianoforte per un botta e risposta con basso e batteria. La cantante portoghese introduce alcuni pezzi del nuovo album e racconta il modo in cui sono nati come alcuni ad esempio che parlano di Dio, percepito da sempre come guida nella sua vita, poi invita ancora una volta il pubblico a ripetere con lei “It’s all about joy” cantando con un sorriso che le fa strizzare gli occhi ed esprimere a pieno il senso della canzone. Diversi i brani Jazz in cui la cantante lascia che le corde vibranti della sua voce dialoghino col basso di Theo Pascal e con la batteria di Elias Kacomanolis – gli altri due componenti dell’ensemble – e, dopo aver dedicato un’ultima canzone ad un pubblico danzante ormai in visibilio, viene omaggiata da Andrea Laurenzi, il direttore artistico del festival, che la nomina ambasciatrice del museo e del festival Mann.
Da concerto a concerto: la sera del 22 aprile il museo apre le porte ad un pubblico di ascoltatori che si appresta ad occupare i posti del salone della Meridiana immersa nelle luci soffuse adibite ad hoc per l’esibizione di Peppe Servillo ed il Solis Street Quartet, che regala alla sala un atmosfera ancora più suggestiva. Così, le luci del palco fanno di Servillo una silhouette nera che si staglia sul fondo e che toglie il cappello alla fine di ogni pezzo della tradizione musicale napoletana interpretato insieme al quartetto di archi alle sue spalle. Te voglio bene assaje, Maruzzella, Dicitancelle vuje ma anche brani tratti dal repertorio di Fausto Cigliano (musicista ed autore napoletano) e dell’attore ed autore napoletano Raffaele Viviani sono solo alcuni dei pezzi interpretati da Servillo che con la sua mimetica facciale, tipica del teatrante, riesce a dare enfasi a ciascuna strofa di quelle che sono internazionalmente riconosciute come poesie in musica. E le poesie vengono accompagnate dalle coreografie di Flavia Bucciero che traduce le note di alcuni brani in un’armonica espressione corporea dando forma alle caratteristiche di passionalità e sensualità della canzone partenopea. A conclusione dello spettacolo infine, per divertire il pubblico, Servillo sceglie due brani, il primo di Libero Bovio Nun voglio fa niente e il secondo So’ le sorbe, composizione settecentesca, metafora della caducità della bellezza femminile scritta da Leonardo Vinci.
Ma il festival delle muse non trascura di dare spazio anche agli incontri a tu per tu con gli autori, in particolare con i cantautori della musica italiana.
Lo stesso sabato 22 aprile, la “Sala del Toro Farnese” del museo è gremita di persone che attendono l’arrivo del cantautore romano Niccolò Fabi che di lì a poco sarà coinvolto in un emozionante colloquio con Paolo Benvegnù, chitarrista e cantautore italiano. L’incontro si snoda intorno al tema del ruolo dell’artista e segue il ritmo incalzante dei pensieri che stimolano le domande di Benvegnù e le risposte “spaziose” di Fabi, ispirate dalla stima reciproca tra i due cantautori. E con la grazia di chi sa che ha di fronte un’entità delicata e preziosa Benvegnù formula una delle considerazioni più significative affermando “Tu riesci a trasformare il peso in volo. Come ci riesci?” La risposta di Fabi non sorprende dal momento che egli fa riferimento alla propria natura riflessiva ed un po’ solitaria accompagnata dalla sua fisicità, in particolare dalla voce delicata, a tratti soave, che egli stesso definisce poco “autorevole” (paragonata ad esempio a quella di Fossati) e che per tale motivo gli consente di poter “lavorare sul peso”.
Poi il discorso continua sulla strada del racconto della conquista della notorietà che Fabi definisce piuttosto una lenta e graduale seduzione degli ascoltatori con un costante impegno a coltivare l’attenzione e la stima del pubblico. Ed è nella disciplina e nell’autocontrollo che il cantautore romano concentra il proprio impegno e compie le scelte nelle quali egli stesso riconosce la strada dell’auto-definirsi, del diventare. Paolo Benvegnù pone davanti agli occhi del pubblico l’immagine di un Fabi che nel proprio percorso di ricerca “scrive lettere allo sconosciuto che è in se’” offrendo al cantautore la possibilità di ribadire un concetto esposto più volte nelle sue interviste e relativo all’aspetto della intimità che Fabi identifica non in quanto oggetto di un discorso bensì come linguaggio e a tal proposito cita “capelli” uno dei primi brani che lo hanno fatto conoscere al pubblico e che racconta una storia d’amore attraverso il linguaggio della metafora dei suoi riconoscibili ricci come intimo elemento di appartenenza ed identità. Il discorso poi si allontana dalla dimensione personale per finire ad una considerazione intorno al concetto di etica di cui l’arte si fa molto spesso portatrice. In questo Fabi, che appena il giorno precedente aveva partecipato alla manifestazione “Olimpiadi della legalità” in Calabria, non manca di dare una sua personale visione identificando l’etica non come una serie di regole alle quali sottostare ma come la reciproca capacità di fidarsi finalizzata al godimento comune del benessere civico.
Dopo tanto parlare arriva per Fabi il momento di interpretare una canzone, così il cantautore imbraccia la chitarra ed intona Filosofia agricola, brano tratto dall’ultimo suo album Una somma di piccole cose, disco di gande successo registrato in solitudine nella sua casa di campagna. A quanto pare però la discussione a braccio e la situazione che deve essergli sembrata accogliente fino al punto di azzerare la tensione, fanno si che Fabi dimentichi le parole di una strofa e così, in una maniera spontanea che denota la sua rara capacità di entrare in contatto col pubblico, chiede alle persone presenti di essere suggerito. A Filosofia Agricola poi segue un’immancabile interpretazione di Costruire, il brano che l’autore stesso non stenta a definire come quello che lo ha avvicinato più di tutti gli altri alla dimensione dell’essere compreso. Il colloquio emozionale ed emozionante tra i due cantautori si chiude con un abbraccio a cui segue l’omaggio da parte del “Mann” che nomina Niccolò Fabi ambasciatore del festival.
Quello dedicato a Fabi è solo uno dei numerosi sguardi lanciati in direzione di una esperienza conoscitiva e di approfondimento degli autori, attori, registi, musicisti che dal 19 al 25 aprile hanno varcato l’ingresso del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, una istituzione culturale che non ha bisogno di presentazioni e che da quest’anno presenta un affascinante percorso all’interno delle arti di ieri e di oggi.
Al festival ed alla città di Napoli non resta che augurare che l’esperienza possa essere riproposta e crescere ancora di più nel corso degli anni a venire.