Baustelle – L’amore e la violenza
A quattro anni da Fantasma – complessa e imponente opera orchestrale, sorprendentemente diversa dalle precedenti – i Baustelle tornano a calcare le scene di quell’indie pop che è stato il loro tratto caratterizzante sin dai tempi di Sussidiario illustrato della giovinezza (2000).
La stessa Rachele Bastreghi ha simpaticamente definito L’amore e la violenza, settima fatica della band di Montepulciano, un “sussidiario illustrato della maturità”, a riprova del fatto che, dopo 17 anni di attività musicale, i Baustelle abbiano sentito la necessità di un “ritorno alle origini”. Plausibile (ma fino a un certo punto) nel caso di un gruppo che, nel panorama musicale italiano, è riuscito a ritagliarsi uno spazio autentico, tuttavia qui compromesso da diversi momenti di noiosa ripetitività. Si tratta infatti di un disco che non ha potenziato la già acclarata notorietà indie-pop della band: si percepisce una pedanteria di fondo che mitiga le aspettative riposte dai fan di Bianconi (testa e cuore dei Baustelle) & company (Rachele Bastreghi, tastiere e seconda voce; Claudio Brasini, chitarre). Durante la sponsorizzazione, al disco è stata affibbiata anche l’etichetta di ‘oscenamente pop’ che risulta sì calzante negli intenti, ma meno nella resa. Restituire dignità musicale alla forma della canzonetta, impietosamente bistrattata già negli anni ’70-‘80 (in favore della canzone civile e impegnata), è di per sé un proposito coraggioso. Ancora più sottilmente velleitario è provare a farlo in un periodo drammatico come il nostro, dilaniato, appunto, dalla violenza (uno dei due temi dell’album). L’altro è l’amore, che fa da contrappeso all’Occidente in guerra. Di qui l’immagine – emblematica – della copertina: due donne nude e avvinghiate l’una all’altra in procinto di fare l’amore e/o la guerra. Non che questi temi, sapientemente mescolati, non fossero già stati uno dei punti centrali della musica dei Baustelle. Erano anzi stati raccontati nel corso degli anni attraverso le storie di persone comunemente singolari (Martina, Sergio, Alfredo) e in quest’ultimo disco non trovano tanto una compiutezza, quanto una prosecuzione destinata a non completarsi: l’ultima delle 12 tracce che compongono il disco, (Ragazzina, evocativa sin dal titolo), presenta, infatti, il finale in dissolvenza (omaggio agli anni della canzonetta pop anche dal punto di vista della tecnica).
In questo disco i Baustelle sono essenzialmente, concettualmente, coerentemente, se stessi. Eppure si è lontani dai fasti di La malavita (2005) o Amen (2008, che valse loro, peraltro, la Targa Tenco). Sembrano qui troppo gridate le virate elettroniche à-la Franco Battiato de La voce del padrone (1981), che Bianconi non ha mai negato essere un punto di riferimento: Il vangelo secondo Giovanni, pezzo d’apertura, cantato da Bianconi e Bastreghi, getta nel “calderone” la guerra civile in Siria (profughi siriani costretti a vomitare) e le più generiche “idiozie di questi anni”; Amanda Lear, il singolo che aveva anticipato l’uscita del disco, attraversa gli stessi territori (con alla base l’electro-pop orecchiabile che funziona). Nessun particolare entusiasmo fino a Betty, punta di diamante di un disco sostanzialmente “standard”: qui si avverte l’essenza dei Baustelle senza la “scomodità” del loro background. La vicenda e la melodia sono un incastro perfetto: nella sua solennità musicale, questo pezzo diventa il manifesto degli anni 2.0 poiché Betty, adolescente perfettamente social, è costantemente in balia di se stessa, nonostante i suoi 5000 amici (su cui piove, alla stregua delle tamerici dannunziane menzionate nella canzone; non stupisce il sempre manierato citazionismo). Molto 2.0 – pur nella sua spruzzata elettronica – è anche Eurofestival, per i toni ironici e la “calligrafia” adolescenziale ad effetto (ragazzo mio, ci vuol pazienza//interventisti, jihadisti, scambisti in lontananza//epicurei, etero e gay//giovani rapper, occultisti, dj). La musica leggera diventa di spessore in pezzi come La musica sinfonica e L’era dell’acquario, quest’ultima particolarmente riuscita per il testo: per sopravvivere alle stragi state alla larga dai musei e dalla metropolitana//ripete la TV//mentre faccio i fatti miei. Sorvolabile o quasi la parte restante del disco per mancanza di brio, novità, originalità: i Baustelle di “L’amore e la violenza” – salvo alcuni momenti di canzone dignitosissima – danno l’impressione di essere prigionieri di se stessi.