Arti Performative Focus

Dominio Pubblico: scene dal futuro del teatro italiano

Renata Savo

Racconti e visioni da (o di) Dominio Pubblico

Il prezzo della vita si coglie nella consapevolezza della sua finitudine: è il messaggio che sabato 3 giugno, al festival Dominio Pubblico, dal flusso interiore di P. Butterflies di Nogu Teatro nel quale ci eravamo immersi la sera precedente, ci conduce per mano verso Audizione della neonata compagnia Le Ore Piccole, formata da diplomati all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.

Due candidati (incarnati da Chiara Arrigoni e Andrea Ferrara), portatori del virus dell’HIV, come previsto dai requisiti, ambiscono a farsi strumento di un piano diabolico in cambio di una cospicua somma di denaro: prendere parte a un’orgia per ‘donare’ a uomini annoiati dal successo il brivido di sentire la propria vita in pericolo, il rischio fatale del contagio, e, a chi avrà scampo, l’illusione di poter ricominciare a dare un valore alla vita. Dello stesso spettacolo, che in questi giorni (fino a domenica) è in scena al festival Milano OFF, avevamo saggiato una versione di circa 30 minuti presentata al festival ContaminAzioni (2016), apprezzandone l’assoluta e avvincente compiutezza drammatica attraverso quel formato “ridotto” (qui la recensione). Nella nuova versione, portata a 50 minuti, sebbene si avverta un lieve rallentamento dell’azione, le aggiunte incoraggiano la lettura di significato richiamata dal titolo dello spettacolo. La manipolazione psicologica dei due candidati da parte di un sadico personaggio ingaggiato per operare una selezione tra i due, si rilegge come reazione di due attori abbandonati alle pungolazioni di un regista che li sprona alla veridica simulazione di situazioni reali. Resta molto convincente l’interpretazione di Chiara Arrigoni e Andrea Ferrara, mentre va rodata nei minuscoli dettagli, a favore di una maggiore bipolarità emotiva, quella di Massimo Leone, il cui ruolo, senza dubbio più complesso degli altri due, fa da termometro dell’intera messa in scena diretta da Francesco Toto, regista giovane, ma dalle idee già molto chiare.

Assai meno limpide, invece, quelle di Sofia Bolognini e Dario Costa, fondatori della compagnia bologninicosta, distintasi in maniera positiva, di recente, per ST(r)AGE. Con Romeo e Giulio, invece, scivolano in un’operazione piuttosto acritica della dark comedy shakespeariana, oltretutto quasi irriconoscibile. Nel tentativo di essere gay friendly, questa versione, assai musicale, piena di danze scimmiesche e pseudo-erotiche in intimo femminile (indossato anche dai performer di sesso maschile), finisce per strizzare l’occhio a banali cliché sull’omosessualità; e anziché stimolare riflessioni o dubbi, si presenta a tutti gli effetti come dalla compagnia descritto: «un’architettura indecente, un ordigno scenico osceno» (ne abbiamo bisogno?), mentre ci si chiede in quale misura, invece, «prende posizione netta all’interno del dibattito pubblico sull’omofobia» (si consiglia vivamente la visione di Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata, per esempio, che realizza in maniera esemplare la finalità di cui sopra, senza bisogno di alcun ridondante formalismo). Spicca, tuttavia, l’interpretazione di Cesare D’Arco, nei panni della madre di Giulio: intensa, viva come un dipinto caravaggesco e vibrante come un Amleto sottratto di scena di beniana memoria; e quella di Sofia Bolognini, padre di Giulio. Apprezzabili anche le musiche dalle influenze synth pop realizzate da Dario Costa, che danno un leggero tocco di personalità al lavoro.

E un vero Amleto, o forse un pazzo qualunque dei nostri giorni, è il protagonista della commedia Reparto Amleto della compagnia L’Uomo di Fumo, guidata da Lorenzo Collalti, drammaturgo e regista che avevamo avuto in diverse occasioni di incrociare, e il cui talento è stato confermato anche da due premi SIAE (vinti nel 2014 e nel 2015), nonché dal riconoscimento come miglior spettacolo ricevuto proprio in questa occasione, a Dominio Pubblico. Dopo Nightmare N.7 e dopo Ricordi di un inverno inatteso (saggio di diploma di Collalti), Reparto Amleto affina le tecniche di composizione della materia comica attingendo al varietà e mescolando stile alto e basso, osservando il rispetto delle più nobili intenzioni shakespeariane. Accanto alla finezza di utilizzo della materia tragica, della quale viene restituita una sorta di agile parodia (ma la definizione non esaurisce il raggio dell’operazione drammaturgica, laddove, come in questo caso, il testo diventa pretesto), s’innestano riferimenti colti e affermazioni smontate continuamente, dagli effetti esilaranti, in cui se non altro si riconosce la cifra stilistica della lingua scenica del bravo Collalti. La vivace e intelligente commedia è ambientata in un ospedale, dove il visionario protagonista dall’effimera vita scenica (Luca Carbone), sofferente di riscritture, interpretazioni e manipolazioni di ogni sorta da quattro secoli, si è recato autonomamente dichiarando di chiamarsi Amleto e narrando a due improbabili infermieri dai tratti “italiani” stereotipati – Roberto e Santino, due Rosenkratz e Guildestern alla lontana, di cui sono interpreti Flavio Francucci e Cosimo Frascella – l’apparizione del fantasma Amleto, suo padre omonimo, e l’assassinio dello stesso per mano dello zio Claudio. I quattro attori, straordinari, ben sincronizzati, alternano inflessioni romanesche e citazioni raffinate che alludono alla fortuna scenica del capolavoro shakespeariano, fino a sottomettersi alla recita della famosa scena della mousetrap, dove il teatro nel teatro viene riletto in un certo senso anacronisticamente, come psicodramma nella commedia, e quindi terapia somministrata dal medico (Lorenzo Parrotto) al paziente affetto dal trauma psichico.

Tra gli spettacoli ben interpretati, che però soffrono di una drammaturgia poco efficace, citiamo la storia d’amore travagliata fra una musa impossibile e un artista, Caterina, di e con Gabiele Cicirello accompagnato nella scrittura da Manuel Mannino, e The Waste Land, diretto da Simone Giustinelli (formazione teatrale Esercitazioni Invisibili), spettacolo sul quale si erano accumulate alte aspettative. Oltre a non rendere giustizia al cast di bravi giovani attori – Giulia Adami, Cesare D’Arco, Dacia D’Acunto, Noemi Francesca – (e contrariamente a quanto fatto in precedenza, in quel gioiello che il precoce Giustinelli aveva messo in scena nel 2014, Girotondo) che sono messi al servizio di una narrazione visivo-gestuale, parallela alla voice off dell’omonima opera di T.S. Eliot, nello spettacolo il regista sperimenta come in un montaggio cinematografico la separazione tra i due codici, del suono e dell’immagine; ma essendo entrambi portati a un elevato livello di densità poetica, intesa come distanza dai rapporti di verosimiglianza con il reale, la fruizione del processo narrativo risulta fortemente osteggiata. Tuttavia si apprezza l’audacia nell’allargare il discorso sulla funzione dello spazio avviato in precedenza; uno spazio inteso in chiave metafisica, racconto declinabile e smistabile tra più territori, i sensi e la mente, il suono e l’immagine.

Una menzione speciale va ad Alessandro Blasioli autore e interprete di Questa è casa mia. Il giovane Blasioli tratta una materia delicata come le disavventure degli aquilani dopo il terribile sisma del 2009, costretti a migrare da una città all’altra e a subire le incoerenze di una comunità apparentemente solidale, e lo fa aderendo a una poetica ben riconoscibile, per esempio, in compagnie che si confrontano con i temi della periferia o con episodi di cronaca locale (come la calabrese Scena Verticale); la cronaca di eventi avviene attraverso toni favolistici ed elementi musicali folk che alleggeriscono il racconto senza che ciò infici la drammaticità delle situazioni narrate, che anzi emergono e risaltano per contrasto. La bellezza del teatro, la capacità del medium di tradurre il visibile in ascolto e il pensabile in visione, si condensa nel racconto epico, accorato, con il quale è impossibile non entrare in simpatia (dal greco συν-πάσχω , “soffro insieme”), di questo aedo moderno, corpo dalle mille voci e altrettante espressioni, esuberante e istrione, magnetico, atletico, nella sua lunga e non facile performance. Una bella scoperta che conferma la necessità di tenere in vita ancora e ancora manifestazioni come Dominio Pubblico – la città degli Under 25, vetrina quest’anno di talenti, in alcuni casi fuori dal comune, cui probabilmente andranno consegnati gli auspici, la direzione, il futuro, del teatro italiano.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti