Intervista a La Ballata dei Lenna
Se pensiamo alla nuova generazione teatrale, un posto di riguardo lo ha sicuramente il collettivo appulo-piemontese de La ballata dei Lenna, nato dall’incontro tra tre performer avvenuto – come spesso succede – in occasione della frequentazione di un’accademia, in questo caso la “Nico Pepe” in Friuli. Usciti da quest’ultima, i tre si sono cimentati in una serie di lavori molto apprezzati, fino ad arrivare all’ultimo Il paradiso degli idioti, che dopo la finale del Premio Scenario 2015 arriva venerdì 7 Aprile 2017 al Centro Sociale di Salerno, in occasione di Mutaverso Teatro, la stagione voluta da Vincenzo Albano/Erre Teatro a Salerno, di cui Scene Contemporanee è orgoglioso media partner. L’occasione è stata quella propizia per incontrare il collettivo, con cui abbiamo scambiato alcune parole proprio partendo dal lavoro che verrà presentato nel capoluogo di provincia campano.
Qual è la stata la scintilla o l’esigenza che vi ha portato a realizzare uno spettacolo su temi come il rapporto tra padri e figli, come appunto Il paradiso degli idioti che portate in scena a Salerno?
Il paradiso degli idioti è un progetto che parte – come spesso accade – da nostre discussioni e dal nostro piacere innanzitutto di fare questo mestiere e di affrontare delle tematiche a noi vicine o che comunque sentiamo come contemporanee. Da queste discussioni, analisi e tutto il lavoro che facciamo per cercare di essere precisi nella ricerca che facciamo per lo spettacolo, è nato un progetto che abbiamo presentato a Scenario 2015, dove abbiamo superato la prima selezione a Napoli e poi la semifinale a Bari, finché siamo arrivati tra i 12 finalisti a giocarcela a Santarcangelo. La finale – non mi vergogno a dirlo perché questo è stato uno sprone/motivo per portare a termine lo spettacolo – non è andata benissimo, in quanto lo spettacolo ha avuto un’accoglienza piuttosto tiepida. Poi hanno dato il risultato, non abbiamo vinto, e da lì non ci siamo tirati indietro perché non ce la sentivamo di lasciare uno spettacolo – che per noi è come un figlio – soltanto perché i dieci minuti presentati a Santarcangelo non erano convincenti, per cui ci siamo presi la responsabilità e abbiamo deciso di portarlo a termine, dividendoci tra di noi le varie responsabilità dello spettacolo. Lo spettacolo ha fatto una residenza a Kilowatt per poi debuttare al Kismet a Bari; lo spettacolo è cambiato totalmente nei contenuti, nelle scene, pur mantenendo una forte componente d’attore che è una cosa che volevamo mantenere, arrivando a diventare uno spettacolo di un’ora e venti. Siamo partiti dall’eredità dei padri come concetto perché siamo in una fase in cui anche noi – giovani compagnie – non sappiamo bene dove andiamo, che padri abbiamo, che eredità ci hanno lasciato, spesso ambigua e distrutta che spetta a noi ricostruire.
C’è una dualità che imperversa lungo tutto lo spettacolo, a partire dai due protagonisti – i cui metodi di produzione artistica sono agli antipodi – fino allo stesso contraltare del titolo dello spettacolo, ovvero quel Paradiso degli Eroi che è il titolo della sceneggiatura cinematografica a cui sta lavorando uno dei due.
Questa è venuta in sala, durante le prove, ed effettivamente i due artisti – una, Sonia, che arriva dal Canada e lavora su queste opere d’arte al limite etico, mentre Andrea è più “vecchia scuola” – sono così. Andrea sta scrivendo una sceneggiatura cinematografica chiamata “Il Paradiso degli eroi” e da qui sua sorella farà questo gioco – un po’ perché si rende conto che questa sceneggiatura non è buona e un po’ perchè lei viaggia su contesti diversi con altri soldi – suggerendogli di chiamarlo “Il paradiso degli Idioti”, ma riconoscendone comunque un lavoro artistico, che li porta allo scontro.
Ma c’è anche una critica in questi due personaggi all’estremo l’uno con l’altro?
Si, sicuramente Sonia va verso l’estremo, Andrea no – e durante lo spettacolo questo suo gioco artistico mostrerà quello che sogna, quello che lui subisce, ecc. fino a quando non perderà il controllo dei suoi personaggi e farà precipitare tutto, adottando un linguaggio più contemporaneo e più performativo paradossalmente dalla sorella.
Nel lavoro c’è una sceneggiatura cinematografica – ma nel lavoro stesso ci sono molti richiami provenienti dal linguaggio cinematografico.
Si, li richiamiamo anche nei movimenti di Andrea, nei momenti in cui è da solo, quando gioca con la valigia di sua sorella che diventa quasi una cinepresa, diventa quasi un 8 e ½ felliniano. Lui vive su questo divano dove c’è la sceneggiatura che passa di mano in mano dalle sue mani a quella degli altri personaggi, poi sul divano, poi viene distrutta, poi ritorna nelle mani di Andrea ecc. Oltre però a questo ci sono anche alcuni riferimenti visivi: Andrea racconterà di questa scimmia e di questo personaggio, Adamo, e poi questi personaggi si vedranno, attraverso una proiezione che però non sarà una proiezione classica visiva ma sarà una proiezione con persone che entrano ed escono, con degli attori, però la proiezione avviene nella testa di Andrea.
Come abbiamo chiesto anche ad altre compagnie ospiti di Mutaverso, tra cui alcune pugliesi, questa regione ha vissuto un periodo di splendore, di cui adesso forse si iniziano a vedere le prime crepe, per quanto riguarda il sistema culturale e teatrale e la sua diffusione a tutti i livelli. Voi che in un certo senso rappresentate una giovane compagnia sul territorio, qual è il vostro rapporto con esso sia in termini produttivi che di rapporto con il pubblico?
Noi come compagnia abbiamo la sede legale sulla carta ad Alessandria; finendo l’Accademia abbiamo deciso di spostarci immediatamente in Puglia, non partendo quindi dove c’era già un’energia produttiva, anche per via della nostra inesperienza ed ingenuità. Per cui sicuramente il nostro arrivo in Puglia cinque/sei anni fa è arrivato in un momento di grande energia e sviluppo a livello culturale, dove questo sviluppo non avviene tanto nella pratica scenica in se per se ma proprio a livello di testa. Sicuramente la modalità di fare teatro di alcune realtà della Puglia (Teatro Minimo, Bottega degli Apocrifi, Franco D’Ippolito, ecc.), appoggiate a questo contesto di grande humus e stimolo culturale, ha cambiato il modo di fare della nostra compagnia a partire dal livello progettuale, e quindi di testa. Poi attenzione, siamo sempre in Italia, quindi non è che succedessero i miracoli, ma c’erano dei finanziamenti, delle professionalità, qualche possibilità di circuitazione, e così via. Quello che però ci sentiamo di dire è che il territorio ci ha cambiato il nostro modo di fare teatro, tramite il confronto con operatori ed altre realtà, dandoci una possibilità in più. E’ chiaro che c’è stato un lavoro straordinario da parte di queste realtà (alcune ancora vivono sul territorio, altre sono andate via) perché ogni qualvolta noi torniamo in Puglia troviamo ad esempio un pubblico non solo affezionato ma un pubblico che si è formato soprattutto di testa, e decide quindi di andare a vedere la drammaturgia contemporanea e da qui di andare a vedere la Ballata dei Lenna. Non so quanto durerà questa situazione, e soprattutto quanto possa durare nell’ottica della situazione nazionale complessiva, ma sentiamo da quando ce ne siamo andati dalla Puglia (ora siamo stabiliti in Piemonte) che molte cose sono cambiate, tante energie, sia politiche che culturali, e alcuni finanziamenti sono diminuiti, e questo in un certo senso cambierà delle cose.