Intervista alla Piccola Compagnia Dammacco, ospite il 17 marzo con “Esilio”
Venerdì 17 marzo l’appuntamento per (la) seconda stagione Mutaverso Teatro nella sala Auditorium del Centro Sociale di Salerno (zona Pastena) è con la Piccola Compagnia Dammacco e il suo Esilio, uno spettacolo con Serena Balivo e Mariano Dammacco, ideato, scritto e diretto da Mariano Dammacco con la collaborazione di Serena Balivo.
Ormai cuore pulsante dell’attività teatrale cittadina e non solo, l’associazione Erre Teatro nella direzione artistica di Vincenzo Albano si è confermata come promotrice di progetti e di un’idea di teatro che sia in primis un luogo di condivisione, «uno strumento di partecipazione sociale» per dirla con le parole dello stesso direttore artistico, la cui cura e responsabilità emergono anche nell’esperienza che gli stessi artisti coinvolti nel progetto salernitano percepiscono ancor prima di raggiungere la città.
A confermarcelo, proprio la Piccola Compagnia Dammacco, con cui abbiamo scambiato alcune riflessioni sia sul contesto di questa esperienza teatrale a Salerno, sia sul loro lavoro di oggi e di domani.
Cominciamo dal contesto di questa presentazione di Esilio a Salerno. Che significato ha per voi partecipare a un progetto come Mutaverso Teatro?
Siamo onorati di far parte della proposta di Vincenzo Albano, Mutaverso Teatro, ai cittadini di Salerno e non vediamo l’ora di incontrarli. Le strategie e i meriti di Mutaverso saranno già noti al territorio, da parte mia posso raccontare il primo incontro con Vincenzo Albano, accaduto in un camerino subito dopo Esilio presso Officina Teatro di Caserta, altra bellissima realtà campana di un teatro fatto con molta qualità. Serena Balivo, protagonista di Esilio, e io non avevamo neanche finito di cambiarci e Vincenzo era da noi a chiederci di portare lo spettacolo a Salerno. Aveva sentito parlare dello spettacolo, si è messo in macchina ed è venuto a vederlo: mi è parso il segno di una cura, di un senso di responsabilità e di un piacere rispetto al proprio ruolo di programmatore.
Esilio è uno spettacolo incentrato sull’uomo di oggi, un uomo che, come purtroppo capita sempre più spesso, ha perso il suo lavoro. Qual è il peso che come attori e drammaturghi date all’arte, alla parola e al teatro nel suo poter rappresentare la realtà quotidiana? Vi è traccia di una funzione realmente “catartica” che il teatro può ancora assumere al giorno d’oggi?
Quando lavoriamo alla preparazione di uno spettacolo non miriamo alla catarsi, lavoriamo però sempre pensando allo spettatore, non per cercare di indovinare cosa può piacergli, bensì per cercare contenuti e forme che possano toccarlo, emozionarlo, che possano divertirlo, anche fino alle risate magari, ma sempre per interessarlo a un discorso drammaturgico che riguardi la nostra vita, le contraddizioni, i punti dolenti della vita della nostra comunità, per accogliere lo spettatore stesso in un luogo di condivisione non solo di emozioni o divertimento, ma anche di pensiero.
Per tornare alla tua domanda credo senz’altro che oggi il Teatro debba riappropriarsi delle sue funzioni alte e originarie, essere un’agorà, per così dire e, per concludere, non escludo che l’esperienza vissuta e poi riferitaci da alcuni spettatori di Esilio sia un’esperienza appartenente al territorio della catarsi.
Attore e testo sembrano ben emergere entrambi da questo lavoro che se, da un lato, vede protagonista, insieme a Mariano Dammacco, Serena Balivo recentemente finalista al Premio Ubu 2016 nella categoria “Nuovo attore o attrice under 35”, dall’altro è stato premiato come vincitore di “Last Seen 2016” (miglior spettacolo dell’anno su KLP) ed è stato finalista al premio Rete Critica 2016.
Che rapporto c’è per te, Mariano, tra drammaturgia e resa scenica nel momento di sua realizzazione da parte dell’interprete che, in questo caso specifico, coincide anche con te?
Accompagno le mie drammaturgie sulla scena da oltre vent’anni, ma come suggerisci tu, l’elemento nuovo e centrale della mia ricerca degli ultimi anni è la collaborazione con Serena. Ora compongo gli spettacoli grazie al lavoro sul corpo scenico di Serena, in costante dialogo con lei. Porto in sala le mie visioni, i miei schemi drammaturgici, i miei testi, le questioni che scelgo di condividere con gli spettatori e, insieme e grazie a Serena, queste parole e questi pensieri cominciano a diventare corpo, voce, si chiariscono e la drammaturgia comincia a divenire veramente tale, comincia a essere teatro.
Questo spettacolo è il secondo capitolo di una trilogia che state ultimando: Trilogia della Fine del Mondo. Come si sta delineando il lavoro di composizione dell’ultimo anello?
Abbiamo appena cominciato a lavorare alla preparazione del terzo passo della Trilogia della Fine del Mondo, per ora il titolo è La buona educazione ma chissà cosa succederà. Il primo passo della Trilogia è lo spettacolo L’ultima notte di Antonio, spettacolo del 2012 che portiamo ancora in giro, e che ultimamente è stato in scena in Concentrica e nella Mezza stagione errante, due rassegne anche queste molto pregiate ma nel Nord Italia.
La buona educazione è un puzzle appena cominciato: per ora si intravvedono delle figure legate tra loro da parentela, ma spesso accade che le prime figure e le prime immagini del percorso di ricerca e composizione non trovino poi spazio nello spettacolo. Diciamo che il primo compito che ci diamo è indagare più piste per scoprire quali non portano in nessun luogo e quali ci chiedono di seguirle e approfondirle.
Altri progetti per il prossimo futuro?
C’è un progetto che sta per concretizzarsi in un futuro molto vicino, credo il prossimo mese, del quale mi fa piacere raccontare a te e a chi ci leggerà. Mi riferisco alla pubblicazione proprio del testo di Esilio per L’arboreto Edizioni. È un libro che, oltre al testo dello spettacolo e alle illustrazioni originali di Stella Monesi della Piccola Compagnia, contiene un apparato critico, in forma di conversazione con Serena Balivo e il sottoscritto, curato da Gerardo Guccini, docente di drammaturgia presso l’Università di Bologna e attento osservatore delle interazioni fra testo e spettacolo sia nelle esperienze storiche che in quelle contemporanee. È il secondo libro, dopo L’inferno e la fanciulla, che realizziamo con L’arboreto e il contributo di Guccini e ne siamo felici e grati.