Cinema

Bertolucci In Vista. Io ballo da sola

Marina Niceforo

Presidente della Giuria alla Biennale Cinema di Venezia, Scene Contemporanee celebra l’opera immortale del maestro Bernardo Bertolucci, film per film: Io ballo da sola, storia di iniziazione alla vita per il ritorno di Bertolucci in Italia

Sono passati quindici anni dall’ultimo film di Bertolucci ambientato in Italia, La tragedia di un uomo ridicolo (1981), quando viene presentato alla 49° edizione del Festival di Cannes Io ballo da sola: è la metà degli anni ’90, esattamente il 1996, e Bertolucci è reduce dalla maestosa trilogia orientale che gli ha donato, con L’ultimo imperatore, ben nove premi Oscar. Ritorna in Italia, dunque, in un tempo e una società assolutamente distanti da quelle che aveva narrato mentre era all’estero, conservando tuttavia quella magia che è presente negli occhi degli stranieri quando osservano il nostro paese.

Io ballo da sola, meglio ancora con il suo titolo originale, Stealing Beauty, è appunto un film dove risulta fondamentale lo sguardo umano, nonché il concetto dell’osservare ed essere osservati. Affascinato da sempre da protagonisti dentro e fuori dalla realtà esterna alle mura di casa, così come dall’ambiguità delle relazioni interpersonali e familiari soprattutto, il regista parmense sceglie ora una bellissima e ingenua protagonista, l’americana Lucy, e la immerge nel più tipico dei quadri italiani: la campagna toscana.

Lucy (interpretata dall’allora quasi sconosciuta Liv Tyler) ha diciannove anni quando torna nel casale sui colli senesi dove la madre Sarah aveva passato l’estate del ’75, l’anno del suo concepimento. Dopo una prima visita avvenuta quattro anni prima, la ragazza è ora determinata a scoprire l’identità del suo vero padre biologico e a ritrovare la sua vecchia fiamma italiana, Niccolò. Si ritrova in un posto affascinante e surreale, nella campagna ulteriormente abbellita dalle sculture lignee create dal proprietario della casa, Ian (in realtà dell’artista Matthew Spender), che lì ha accolto artisti italiani e stranieri insieme alla moglie Diana, amica della madre di Lucy. Comincia per lei un’estate di scoperte, di vecchi ricordi e nuove sensazioni, fino al raggiungimento della maturità nel finale, che arriva naturalmente a soddisfare le due premesse iniziali, già largamente anticipate: la scoperta del vero padre e la perdita della verginità. Da questo punto di vista il film prelude sicuramente all’interesse per un tema, l’iniziazione alla vita degli adolescenti e dei giovani in generale, che Bertolucci esplorerà nei successivi The Dreamers e Io e te.

Il vero merito del film, in effetti, non risiede propriamente nella sceneggiatura, che pure riserva degli angoli poetici quando Lucy si fa ritrarre da Ian per una delle sue sculture, o quando infine si concede all’amore, ma più che altro nelle sensazioni della protagonista che la macchina da presa del regista e la fotografia di Darius Khondji riescono a trasmettere allo spettatore. A proposito di quella bellezza che incanta gli stranieri, le immagini dei paesaggi esterni sono calde, sature di luce e di colore; gli spazi aperti e sempre ad esaltare una natura da sogno. All’interno della casa, si scopre lentamente quel gioco di sguardi a metà tra il voyeurismo e la semplice curiosità, in particolare da parte di Lucy, che ha gli occhi pieni di “gioia” e di voglia di capire. Ecco allora che l’occhio della telecamera si stringe sui dettagli (come già accadeva nelle riprese amatoriali nell’incipit), sui pensieri dei vari abitanti della casa, ciascuno dipinto – è il caso di dirlo – in uno stile e con una tecnica diversi.     

Ci sono i primi piani nella stanza di Alex (Jeremy Irons), scrittore inglese malato terminale con il quale Lucy intreccia un instabile ma tutto sommato rassicurante rapporto confidenziale; le figure intere di Miranda (Rachel Weisz) e Richard, trentenni anello di collegamento con le coppie più mature e simboli di una certa volgare generazione degli anni ’80; la frivolezza di Noemi, una Stefania Sandrelli consigliera d’amore attratta da un uomo più giovane di lei. Tutti, almeno una volta, si chiedono come possa una ragazza bella come Lucy essere ancora vergine. Anche l’insistenza con cui questa domanda viene ripetuta lungo tutto l’arco del film traspare dalle immagini oltre che dalle parole, per cui si ha sempre la fastidiosa sensazione che tutti gli occhi della casa siano puntati sui movimenti di Lucy, d’altro canto già di per sé bella da guardare nei vecchi abiti della madre e nelle corse sui prati.

Come si vede, dunque, rimangono fuori dalla narrazione la “vita vera”, così come la realtà dell’Italia allora soltanto all’inizio di un declino generale che Bertolucci accenna appena attraverso qualche dettaglio: nel finale di una festa alla tenuta Donati e con l’immagine di alcune prostitute, o con le parole stanche del cronista di guerra Carlo Lisca, in realtà mai tornato dal fronte.

Resta l’amore, che non tutti i personaggi inseguono con le stesse intenzioni durante la storia, e che comunque si esprime nelle maniere più diverse, e quella bellezza – rubata, appunto, da Lucy per tutta la sua estate toscana e infine da lei catturata per tenerla sempre con sé – altresì declinata in alcune delle sue forme, unica traccia del passato per un Bertolucci ormai sempre meno legato alla concretezza degli ideali.


Dettagli

  • Titolo originale: Stealing Beauty
  • Regia: Bernardo Bertolucci
  • Fotografia: Darius Khondji
  • Musiche: Richard Hartley
  • Cast: Liv Tyler, Sinéad Cusack, Stefania Sandrelli, Jean Marais, Jeremy Irons, Carlo Cecchi, Joseph Fiennes, Donal McCann, Rachel Weisz
  • Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Susan Minot

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