Cinema

La leggenda di Kaspar Hauser

Fausto Vernazzani

Davide Manuli ripropone la sua regia innaturale per Kaspar Hauser, allontanandosi dalla profondità del Beket, ma allacciandosi ad una teatralità ancora forte e comunicativa.

La sua voce canta Kaspar Hauser, il suo nome o forse il marchio, un uomo strano che in poco tempo riesce a conquistarsi i favori della città in cui di colpo è apparso: senza avvertimento, senza sapere nulla del proprio passato. Una leggenda, La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli che segue all’enigma di Werner Herzog, nasconde la figura del nano, sposa invece Silvia Calderoni dimenticando Bruno S. e la tristezza di Stroszek, accoglie il doppio, l’androginia e la maschera.

In Beket s’attendeva la risposta di Godot con Estragone e Vladimiro, in Kaspar Hauser si racconta della venuta dal mare di un Re, atteso dallo sceriffo, dal rappresentante della legalità e della morale a cui si contrappone il Pusher, il vuoto del bianco e del nulla, entrambi col volto di un istrionico e pazzesco Vincent Gallo. La leggenda, l’enigma di Kaspar Hauser non cambia, è un uomo, è una donna, è una creatura di Dio o delle credenze dell’uomo, venuto per esistere e abbracciato per dominare in contrasto alla aristocrazia di Claudia Gerini, volto noto e voce spenta messa in confronto ai suoi colleghi.

La regia di Manuli non perdona, imposta uno stile e infastidisce lo spettatore, accetta le idee di un geniale Fabrizio Gifuni e di recitare le parole scritte di proposito da Giuseppe Genna – scrittore – per una delle scene più belle della Leggenda di Kaspar Hauser, teatrale come l’intera pellicola. Al contrario di Beket, opera cinematografica, questa è infatti più vicina al modello classico di uno spettacolo teatrale, più statico, fermo in ogni scena, a malapena incorniciato dalla macchina da presa troppo impegnata sullo stile di Ciprì & Maresco.

Con loro condivide il bianco e il nero, mai così distanti l’uno dall’altro grazie alla meravigliosa fotografia di Tarek Ben Abdallah, l’inserimento del freak di Marco Lampis. Manuli personalizza invece con la musica, con l’importanza dei DJ e la loro sana dose di spettacolarità teatrale, la forma di un movimento invisibile che dà vita ai corpi di Elisa Sednaoui, alla battaglia iniziale tra lo Sceriffo e il Pusher (l’Io contro se stesso), e al paradiso di Silvia Calderoni/Kaspar Hauser. In questo si riconosce un regista tra i più strani che l’Italia potesse mai dare alla luce, scrittore di cinema che corre il rischio di cadere in se stesso, ma che fino ad ora può solo colpire per l’innaturalezza delle sue idee, per le sue scarne e profonde metafore, per la sua regia statica che come un muro filtra il suono e lo riflette all’interno del palco allestito per ogni singola e potente inquadratura.


Dettagli

  • Titolo originale: Id.
  • Regia: Davide Manuli
  • Fotografia: Tarek Ben Abdallah
  • Musiche: Vitalic
  • Cast: Silvia Calderoni, Vincent Gallo, Claudia Gerini, Fabrizio Gifuni, Marco Lampis, Elisa Sednaoui
  • Sceneggiatura: Davide Manuli

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