Cinema

Bertolucci In Vista. Ultimo tango a Parigi

Cristina Lucarelli

Presidente della Giuria alla Biennale Cinema di Venezia, Scene Contemporanee celebra l’opera immortale del maestro Bernardo Bertolucci, film per film: Ultimo tango a Parigi, una fantasia sessuale al centro silenzioso d’una società rumorosa.

Ha scandalizzato le platee e la critica, ha spiazzato ogni possibilità di giudizio razionale del proprio tempo e, ancora oggi, a distanza di oltre 40 anni è considerato uno dei film che hanno fatto più scalpore in tutto il ‘900. Parliamo di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, che dal 1972 desta curiosità di ogni genere e, nonostante esistano ancora alcuni detrattori, è innegabile stampare su questa pellicola il marchio di “capolavoro”, opera magnifica di un regista poco più che trentenne, il quale non ha paura a mettere in piazza le proprie fantasie sessuali. Fu infatti lo stesso Bertolucci a raccontare da dove trasse ispirazione per il suo lungometraggio: egli affermò di aver sognato di vedere una bellissima donna sconosciuta per strada e d’aver fatto sesso con lei senza sapere chi fosse.

Facente parte, assieme a Il conformista e il successivo The Dreamers, della trilogia sulla capitale francese, il film di Bertolucci fu sequestrato per “esasperato pansessualismo fine a se stesso” una settimana dopo la sua uscita europea. Cominciò così un iter giudiziario da manuale: prima una sentenza d’assoluzione in primo grado, poi una di condanna nel secondo processo d’appello che addirittura condannò la pellicola alla distruzione. Fortunatamente, alcune copie furono salvate presso la Cineteca Nazionale. A seguire una sentenza per offesa al comune senso del pudore, reato per il quale il regista fu privato dei diritti politici per cinque anni e fu condannato a quattro mesi di detenzione (pena poi sospesa). Nel 1982 la pellicola fu proiettata a Roma durante la rassegna cinematografica dal titolo “Ladri di cinema”. L’evento costò agli organizzatori una denuncia, che però non ebbe esito alcuno. La querelle si risolse definitivamente quindici anni dopo, nel 1987, quando il film fu riabilitato e ne fu  permessa la distribuzione nelle sale e poi il passaggio in TV. 

Paul è un quarantacinquenne rimasto vedevo, Jeanne è una bella ventenne fidanzata con un regista. I due si incontrano casualmente presso un appartamento da affittare in rue Jules Verne: l’attrazione è immediata e consumano un rapporto sessuale. Nasce così una relazione “domestica”, un’esplorazione delle rispettive sessualità, tutta vissuta all’interno di quelle quattro mura. Di “urbano” non c’è nulla, fuori le loro vite procedono senza intrecciarsi. Jeanne però si innamora di Paul, il quale la respinge per rendersi conto solo dopo di amarla. Ma oramai è tardi e la tragedia non può che spingersi fino alla propria disturbante conclusione.

Traumi personali e societari che si imprimono nei ricordi della generazione sessantottina e di quelle successive soprattutto grazie alla magnetica presenza di un Marlon Brando un po’ ingrigito e pericolante, sull’orlo della distruzione, ma anche grazie alla bellezza e femminilità di Maria Schneider, divisa tra il desiderio di ribellione ed un’istanza di conformismo. Non esiste altro al di fuori di quella scatola dove i due amanti danno sfogo ai propri desideri, appartamenti, porte, alberghetti squallidi che imprigionano protagonisti e comprimari nella corsa verso la fine. Paul e Jeanne non sanno chi sono, ma in compenso costruiscono nuove identità con cui giocare intimamente, personalità false ma non troppo, vere ma non eccessivamente. Sono insieme eppure sono soli, sono enigmatici, duali, dubbiosi, come dubbiosa è la società che vivono, l’epoca che incarnano. Siamo catapultati in un’epoca di transizione, con la rivoluzione femminista e le sue contraddizioni, il desiderio di scardinare le imposizioni sul rapporto di coppia, sulla possibilità di analizzare il proprio desiderio sessuale sotto la lente della pulsione animalesca e nevrotica. Un tormento post-moderno sull’impossibilità della comunicazione: ci si ama perché non ci si conosce, sembra dichiarare fondamentalmente Bertolucci. Un’esperienza disperata, un urlo sordo destinato a lacerare lo spettatore in virtù di una fine che sembra preannunciata. Se si pensa alla regola della non comunicazione, trasgredirla vuol dire solo e soltanto fine. E la fine, in questa tragica storia dal sapore decadente, non può che realizzarsi con la morte.

Stilisticamente, ancora una volta encomiabile il lavoro di Vittorio Storaro sulla fotografia, ambigua ma carezzevole, lirica oppure livida, secondo le esigenze, così come è impossibile non apprezzare il lavoro di Gato Barbieri sulla colonna sonora. Grande prova alla regia di Bertolucci, per un film di rara profondità, con un gioco di primi piani e piani sequenza davvero eccezionale.

Un tango che è davvero l’ultimo, l’essenziale, quello che chiude definitivamente il sipario su una vita, o anche più di una. Depennata la sensualità, la trasgressione di un rapporto che doveva essere la panacea alla solitudine, non resta che spingersi più in là. Eros e morte danzano insieme, ma al volteggio finale resta in piedi solo la star in nero.


Dettagli

  • Titolo originale: Last Tango In Paris
  • Regia: Bernardo Bertolucci
  • Fotografia: Vittorio Storaro
  • Musiche: Gato Barbieri
  • Cast: Marlon Brando, Maria Schneider, Massimo Girotti, Jean-Pierre Léaud, Laura Betti, Giovanna Galletti, Maria Michi, Veronica Lazar, Catherine Allégret, Catherine Breillat
  • Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli

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