Le parole che non ho letto
Mentire sulle proprie letture pur di non arrivare ultimi: l’altra faccia della competizione.
Non è di molto tempo fa l’indagine del Guardian – poi ripresa, fra gli altri, dal Corriere della Sera – riguardante una nuova declinazione dello squallore in forma di moda: la tendenza a mentire sui libri letti, raffazzonando trame su Wikipedia o sputando sentenze in nome di una quarta di copertina letta di traverso. “1984” di George Orwell il primo di una lista che mette Jane Austen accanto a Fëdor Dostoevskij, Lev Tolstoj accanto a J. R. R. Tolkien, e che include, per i “palati letterari” più particolari, “Infinite Jest” di David Foster Wallace. Opere citate, tutte, senza mai essere state lette. E sulla citazione, se fatta con responsabilità (un po’ come il bere, visto che sta diventando un vizio al suo pari), si può anche chiudere un occhio – per dire: finché viene verificata la fonte, v’è ancora da sperare. Mentre sulla critica non è possibile transigere: perché è un grave sintomo di presunzione, la conseguenza più dannosa del “giudicare il libro dalla copertina” finendo col diffondere conoscenze fasulle. E per di più, possiede un secondo e forse trascurato risvolto. Se infatti da un lato c’è il radical sciòcc che erige vanti come castelli su fondamenta fatte di niente, dall’altro spuntano (come funghi) i nuovi critici: una specie, di recente comparsa, a cui piace ruminare anche inconsapevolmente opinioni preconfezionate e sacrificare sull’altare di un fumoso concetto di “buona scrittura” sempre i soliti capri espiatori. Di cui, probabilmente, neanche una pagina è mai stata letta oppure, ancor peggio, paragonata ad altre. Della serie: quanti libri mediocri di amici o parenti sono accostabili a quelli dei due o tre soliti noti del panorama editoriale italiano ma vengono salvati in toto dall’affetto o, quanto meno, dal sempiterno vincolo del quieto vivere? E perché delegare il male di scrivere ai cosiddetti piani alti se sono le fondamenta a fare il palazzo – come succede con la politica? Se la mediocrità vende è perché c’è chi la compra. E al di là di questo postulato, tanto banale quanto vero, esiste il dato di fatto che l’acquirente del libro mediocre non è solo: ha il supporto di chi critica ciò che non ha letto. Cosa accomuna due tipologie di individui all’apparenza opposte? Ancora una volta, è semplice: il dire e il fare solo per apparire. Il mettere ‘like’ (e ‘dislike’) per darsi un tono e un peso all’interno di un sistema (e di un mondo) sempre più piatto, su cui si leva alta (e per fortuna) la voce della preside di una scuola elementare americana:
“We shouldn’t be competing; we should be learning”.