Via l’etichetta
Un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi (F. Kafka)
Una volta un professore universitario ha detto che “basterebbe capire profondamente una sola frase di un intero libro per poter dire di averlo letto davvero”. Questo è il principale motivo per cui lo ricordo con affetto e con naturalezza, specialmente quando il tempo mi richiede di trarre una sorta di primo bilancio.
La cultura italiana è afflitta da un crudele paradosso che la vuole oggetto di un continuo e meschino lavoro di riduzione, di maligna banalizzazione attraverso la sua esosa diffusione in superficie. “Mercificazione” è il termine usato, forse abusato, per descrivere questo fenomeno, di cui si imputa la responsabilità ai cattivi gestori della cosa pubblica in quella che dovrebbe costituirne a tutti gli effetti la spina dorsale: l’istruzione.
E come non essere d’accordo con chi contesta un sistema che premia i numeri e funziona come un gioco a punti, dove si alternano al ruolo di vittime tanto gli studenti quanto i docenti, in una folle ed estenuante corsa contro i mesi che passano e le schiere di caselle bianche da riempire? Programmi ridotti, distorti, manuali assuefatti alla schematizzazione – il più delle volte errata – dei contenuti, discipline ghettizzate: sono solo alcuni degli elementi funzionali a contrastare il tempo ed il suo scorrere (se ne parlava già qui), a scapito della qualità con cui esso potrebbe venir speso. Un “caos ordinato” di nozionistica, cavilli e formalità che dà al luogo del sapere (concreto e figurato) l’aspetto di un mercato azionistico. Qualcuno potrebbe obiettare: cosa c’entrano le carenze del sistema scolastico italiano con la considerazione che si ha dei libri e della lettura nel nostro Paese? C’entrano eccome. Non è di certo un caso se a tal proposito si è espresso Paolo Peluffo, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, affermando che bisognerebbe “portare i libri nelle scuole, nelle famiglie e in tutti i luoghi di ritrovo delle persone”, creare “un gruppo di lavoro interministeriale che adotti tutti le misure necessarie a sostenere e promuovere la lettura, nella scuola e nelle università, innanzitutto”. Un intervento riportato da Matteo Righetto in un suo interessantissimo articolo pubblicato su Agorà, che mi va di citare soprattutto per l’auspicio di un rinnovato status da attribuire alla lettura qui in Italia: quello di “esperienza viva”. Fermandosi alle apparenze, la dilagante forma mentis nostrana trascura la sostanza dell’apprendimento: la tipologia di approccio all’universo molteplice delle conoscenze. Quel metodo, consistente nel mettere in comunicazione fra loro le forme del sapere, che si fa fondamento del senso critico individuale di ogni cittadino.
Tanti sono, e per fortuna, i resistenti impegnati ogni giorno a spianare la strada verso questo diverso e più vivo ordine di idee: a rendere la scuola, per dirla ancora con Righetto, come “luogo deputato alla rinascita del libro”. Quelli che, come alcuni docenti che ho avuto la fortuna di incontrare al liceo, prima di assegnare pagine su pagine ci dicevano di “imparare a pensare”, e partivano dall’insegnarci quello. Perché leggere non serve a niente se non si utilizza ciò che si legge facendolo rivivere due volte: una nella propria testa e un’altra fra le proprie mani. I libri, di qualsiasi tipo essi siano, sono porte aperte sulla dimensione e sulle dimensioni della realtà: considerarli sterile fonte di erudizione o motivo di diletto (o di noia?) fine a se stesso equivale a chiuderli con un doppio giro di chiave. Per leggerli bene basterebbe capirli, e per capirli basterebbe lasciarsi trasformare da loro. Qualcosa che aveva già detto – e meglio – Franz Kafka:
“Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? […] Un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi”.
Che queste non restino soltanto parole, ma che diventino fatti, credo sia l’augurio più grande da rivolgere a chi, come me, preferisce sentire su di sé tutto il peso di ciò che legge, anziché limitarsi a mostrarlo.