Editoriali

Editoriale Ottobre ’12

Franco Cappuccio

Questa storia inizia un mattino di qualche anno fa: mi trovavo a Parigi, la ville lumière, per assistere alla prima mondiale dello spettacolo Love Is My Sin di Peter Brook presso il suo Theatre des Bouffes du Nord, e ne avevo approfittato per stare qualche giorno ed approfondire la mia conoscenza del patrimonio storico/artistico della capitale francese.

Questa storia inizia un mattino di qualche anno fa: mi trovavo a Parigi, la ville lumière, per assistere alla prima mondiale dello spettacolo Love Is My Sin di Peter Brook presso il suo Theatre des Bouffes du Nord, e ne avevo approfittato per stare qualche giorno ed approfondire la mia conoscenza del patrimonio storico/artistico della capitale francese. E così, come in una folgorazione, mi trovai dentro al Musèe Rodin, allestito all’interno dell’Hotel Biron dove lo scultore francese trascorse gli ultimi anni di vita. Ciò che mi colpì, aldilà delle opere contenute al suo interno, fu il giardino; questo infatti era uno spazio, di non eccessiva grandezza, dove ogni tanto compariva una delle statue giganti di Rodin, anche un po’ inquietanti, dove ci si poteva sedere e dove eventualmente si poteva mangiare qualcosa nella tavola calda allestita in un angolo. Il bello di questo luogo è che i parigini lo sentivano come proprio, ci venivano a passare il tempo, sedendosi a leggere ad una delle panchine ombreggiate, osservando le sculture dell’artista francese, prendendo un caffè o facendo una veloce pausa pranzo, ma soprattutto immergendosi nell’arte e respirando la cultura. Ecco, mi piacerebbe che Scene Contemporanee sia un po’ il giardino della Cultura: un posto dove venire a leggere le ultime novità dal mondo delle arti performative, delle arti visive, della musica, del cinema, della letteratura, un posto dove riflettere sul rapporto tra cultura e sviluppo, tema assai urgente in questo periodo storico, oppure un posto dove semplicemente sostare, lasciandosi ammaliare da un libro, da un disco, da un film, prima di ripartire con il tran-tran quotidiano. Un luogo da consumare, non una teca in cui ci sono i reperti, che rimangono lì, immobili ed impalpabili, ad saecula saeculorum; ed è proprio questa filosofia che ci ha portato ad adottare Il Pensatore come logo, ma non l’originale di Rodin, bensì una versione riveduta e corretta che si ispira all’action painting. E’ un po’ la metafora dei nostri scopi: dare uno spunto che poi diventa, attraverso un processo creativo personale, un qualcosa di proprio, da portare per sempre con sé. Arricchendo il proprio, di giardino.



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