Editoriali "Cinema"

Il dolore del padrone

Fausto Vernazzani

Nipper non ha mai smesso di aver padroni, nemmeno la morte l’ha fermato, sempre lì ad ascoltare La voce del padrone, ora trasformatasi in un vero e proprio grido di dolore.

Francis James Barraud potrebbe non essere tra le più felici anime dell’al di là, superato per fama dal cane di suo fratello, Mark Henry. La storia di Nipper non sarà nota a tutti come quella del “collega” scozzese Greyfriars Bobby, meritevole di una statua a Edimburgo, ma sua è l’immagine del logo dell’importante catena di venditori di prodotti audiovisivi HMV, acronimo di His Master’s Voice, titolo del dipinto del padrone adottivo di Nipper, Francis James, dove il piccolo cane osserva curioso un Cilindro Fonografico, antenato del grammofono. Forse in Italia non è noto a tutti, avendo il marchio sede nell’United Kingdom, ma l’HMV è in crisi da anni e negli ultimi mesi il debito è salito ad un ammontare di oltre 200 milioni di sterline, una cifra non indifferente per chi per decenni e decenni ha fatto affari vendendo vinili, musicassette, compact disc, VHS e DVD, finché la temibile rete non è diventata ciò da cui ha preso, in effetti, il nome: la tela di un ragno dove questo mondo è rimasto invischiato.

Qui in Italia non ci facciamo più molto caso, Blockbuster, azienda ereditata dall’estero, è andata in rotta da anni, i punti vendita si sono ritirati uno ad uno lasciando solo pochi “castelli” a resistere al sempre più pressante assedio costituito sia dalla pirateria che dal crescente potere dello streaming, visto come possibile salvezza all’estero, tanto da distribuire in prima assoluta alcuni film direttamente sul web, com’è stato per il recente John dies at the end, atteso ritorno del regista Don Coscarelli. Cosa significa però per noi il crollo dell’HMV, quali possono mai essere i nostri interessi se i gentlemen d’oltre Manica dovessero perdere quasi 4’500 posti di lavoro? Non è ovviamente problema dovuto alla crisi economica globale – di sicuro influisce – tanto quanto lo è al mutamento drastico di un mercato da sempre dipendente dal bisogno impellente di toccare con mano gli oggetti desiderati. La conseguenza è semplice: i distributori indipendenti crollerebbero con l’HMV, il canale principale di vendita fisica sparirebbe in gran percentuale, un calo sensazionale farebbe cascare le vendite del cinema d’autore ch’oggi vediamo grazie a chi con grandi sacrifici, cerca di portarlo nelle nostre case.

Siamo italiani, che cosa c’importa, diranno in molti e lì casca l’errore: il mercato del cinema non pensa più in termini locali. Scaricare da internet sembra la soluzione più facile al problema, nessuno più compra e tutti sfruttano iTunes e altri programmi che qui preferisco non citare, ma quali sono le fonti di quei file? Non provengono certo dal nulla ed ecco come anche il cittadino in groppa al galeone vien colpito dalla crisi di questi grandi colossi, privato dei film che più vorrebbe vedere, costretto, se può e vuole, a dover assistere ai vari festival in giro per il mondo per seguire il proprio regista preferito. Qual è la morale della favola? Semplice, l’HMV morirà, presto o tardi la rete la ingloberà completamente così come accadrà ad altri gruppi simili, lo shopping lo faremo su Amazon e su eBay troveremo i DVD usati, un tempo acquistati da Blockbuster, e, forse quel cinema che tanto vorremmo avesse più spazio, ma che quasi mai favoriamo andandolo a vedere in sala o comprando il DVD, potrebbe lentamente avere una vita ancor più difficile di quanto già l’abbia. E’ la storia di una colonna infame, quella lunga fila di seeds da cui tutti dipendono: è davvero amore per il cinema l’arrendersi alla nostalgia, al desiderio di sedersi sulla poltrona di una sala d’essai mentre si pensa alla distruzione dei multisala, o è l’ennesima dimostrazione della pigrizia di chi oggi ama senza voler dar nulla in cambio? In fin dei conti non sarebbe neanche necessario esagerare e, né voglio generalizzare, ognuno ha le sue ragioni, ma c’è da riflettere, e poi, come diceva Giobbe Covatta una volta, “basta poco che ce vo’”.



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