Cultura & Sviluppo

Nutrire il pianeta e costruire padiglioni. EXPO 2015 2/2

Gabriella Bologna

 (Continua)

Nella gara ai padiglioni più spettacolari dell’EXPO merita senz’altro un posto anche quello della Cina. Progettata da un consorzio formato dalla Tsinghua University e dal Beijing Qingshang Environmental & Architectural Design Institute, quest’architettura dovrebbe ricordare le forme di un paesaggio naturale e dell’architettura tradizionale cinese (quella che in Cina viene abbattuta giorno dopo giorno per lasciar spazio a colate di cemento). Il filo conduttore dell’esposizione all’interno è “la ricerca di equilibrio tra gli esseri umani e l’ambiente, tra l’umanità e la natura”, attraverso l’illustrazione delle tradizioni culturali e dei progressi in agricoltura. Un tema alquanto vago che poteva fare a meno di essere spiegato attraverso frutta e verdura di plastica.

Il concetto del “noi abbiamo l’alimentazione migliore” è invece affidato al Padiglione Corea del Sud, che ci spiega il perché con l’aiuto di volenterosi coreani dall’italiano incerto e di maxi schermi e installazioni ad altissima tecnologia, alcune delle quali non stonerebbero alla Biennale di Venezia (e viceversa, forse qualche opera della Biennale starebbe più a suo agio all’EXPO che in una mostra d’arte).

La tecnologia ci accoglie anche nel Padiglione Israele, dove un’avvenente Moran Atias ci riceve con la sua improbabile famiglia contadina, cui va il merito, a quanto pare, di aver inventato nell’arco di qualche generazione le più grandi innovazioni agricole mondiali (ma qualcuno non è d’accordo: http://www.tvsvizzera.it/expo2015/scampagnata-ad-expo/Israele-dove-%C3%A8-nato-tutto-5580253.html )

Per chi ama gli sport c’è il Padiglione Brasile, a cui si accede attraverso un’enorme rete elastica che collega i tre piani dell’edificio. Il nesso tra quest’attrazione di successo e il contenuto (di minor successo) dell’esposizione, dovrebbero essere dei sensori per rilevare i movimenti che trasferendo impulsi modificano il suono e la luce circostante (peccato che i visitatori sembrino restarne all’oscuro). Così come all’oscuro di concetti diversi da quello dell’alveare rimaniamo nel Padiglione Gran Bretagna, intrigante architettura progettata appunto sulla forma di un alveare: è questo il tema a cui si è ispirato l’architetto Wolfang Buttress e che ritorna in tutta la struttura senza timore di diventare noioso.

Il padiglione Italia e quelli regionali occupano l’intero spazio del Cardo, salvo qualche significativa eccezione: Eataly, situato in un ampio spazio in bella vista a metà del Decumano, Slow Food, relegato alla fine del percorso, e una versione trendy della Coop, celata dall’altisonante nome “Future food district” dietro il padiglione del Messico. Tre modi tutti italiani di concepire il cibo.

Fra i Paesi che interpretano il concept dell’EXPO nel senso di “cosa coltiviamo”, “cosa mangiamo”, “perché la nostra agricoltura è la migliore”, quelli che lo inglobano in un mega spot dell’ufficio turistico e quelli che il tema lo ignorano del tutto (vedi il Vietnam e il Nepal), chi vince davvero il premio per aver centrato il bersaglio “come nutriamo il pianeta e sosteniamo il suo futuro” è l’Austria. Klaus K. Loenhart del team Terrain di Graz ha progettato la riproduzione di una foresta austriaca, ma piuttosto che mostrarla attraverso schermi ad alta definizione, ha piantato 55 alberi e ci ha fatto attraversare un sentiero. L’unico vero polmone verde di un’EXPO invaso dal cemento e costellato di qualche aiuola, che assorbe CO2, fornisce ossigeno all’ambiente e lo rinfresca abbassando la temperatura in modo naturale.

Tra contraddizioni, messaggi banali e mal celata ipocrisia sul consumo indiscriminato delle risorse del pianeta, quello che colpisce, in questa lunga passeggiata attraverso il mondo all’ombra del Cardo e del Decumano, è la sproporzione tra i Paesi ricchi e quelli poveri. A margine delle grandi architetture, i padiglioni di molti paesi africani sono poco più che stanzoni con qualche foto e qualche vetrina.

Se non possiamo sperare che l’EXPO serva a qualcosa per migliorare il pianeta, l’auspicio è almeno che gli alberi dell’Austria vengano ripiantanti e i padiglioni, per quanto discutibili, non vengano distrutti ma solo spostati. Perché non si rimpianga, tra qualche anno, di averli persi per sempre, come il Crystal Palace.

 

 



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