Fiorella Mannoia @ Rivisondoli
Recensione del concerto della cantautrice italiana Fiorella Mannoia a Rivisondoli, Abruzzo.
Benché sia il 16 agosto a Rivisondoli l’aria è fredda, anzi freddissima.
Alla discesa dalle auto parcheggiate in un piazzale improvvisato impantanate tra verde e fango, le persone sgranano gli occhi, aprono il cofano posteriore della macchina e incominciano a rovistare. Spuntano fuori le dimenticanze dell’inverno, cappelli, sciarpe, guanti. I più fortunati sfilano festosi e soddisfatti un piumino o un pile, i privilegiati una coperta, i previdenti sorridono beffeggianti perché loro la montagna la conoscono bene. In pochi, come me, indossano una tenuta estiva con un accenno di autunno e battono i denti, soffrono ed aspettano che il palco adibito nella piazza principale del comune si illumini, che i musicisti prendano il loro posto tra gli strumenti e che compaia lei capelli rossi, braccia aperte fin dove arriva lo sguardo. Un Buon Natale per sdrammatizzare e si parte insieme in un viaggio lungo due dischi. Per il suo tour estivo Fiorella Mannoia attinge spaziando dal suo repertorio classico ai suoi ultimi due album: Sud, concept album dedicato al sud del mondo e A te, omaggio all’amico Lucio Dalla. Tre colpi di tamburi e ritmici battiti di mani introducono “I treni a vapore” e il dolore che passa è quasi impercettibile, e si va avanti e si pensa da lontano, da un altro mare, da un’altra casa. “Io non ho paura”, brano scritto da Bungaro ed estratto dal disco Sud, un inno, un riscatto, un cavallo di battaglia, un sunto di un punto di svolta sembrerebbe per la Mannoia che piano piano è riuscita a cambiare totalmente la sua immagine, a spogliarsi di quell’aria fredda, austera, seriosa che le sue canzoni avevano finito per appiccicarle addosso, di quel cognome che adeguatamente apostrofato suonava quasi come uno scherzo del destino. Ma la Mannoia tutto fa fuorché annoiare, ce lo ha dimostrato negli anni e continua a farlo stupendoci in una rivisitazione di una canzone di qualche anno fa, esattamente del 1981 ovvero “Caffè nero bollente”, presentata al Festival di Sanremo, ancora trent’enne alla ricerca di un’identità artistica e musicale. Oggi quella canzone ha trovato la sua veste, ironica e maliziosa nella sua interprete di allora con la consapevolezza di donna che ha oggi. Una nuova versione anteprima di un album antologia che verrà pubblicato in occasione dei suoi (incredibile anche solo pensarlo) 60 anni. Io non ho bisogno di te, perché io non ho bisogno delle tue mani, mi basto sola suona come un verso metaforico, premonitore di quel che sarebbe poi accaduto durante la vita artistica della Mannoia da sempre interprete dei più grandi cantautori della musica italiana come Fossati, De Gregori, Ruggeri, in Sud firma tre pezzi acquisendo a buon diritto il titolo anch’essa di cantautrice. Tre piccoli gioielli, che hanno aspettato tanto prima di vedere la luce. L’ispirazione è arrivata dal sud del mondo alla quale, ricordiamo, è dedicato l’intero album, quel sud disastrato come il nostro sud, l’africa, il brasile, saccheggiato e poi abbandonato.” In viaggio”, “Dal tuo sentire al mio pensare”, “Se solo mi guardassi” partono da lì per continuare a vivere di vita propria. “In viaggio” in particolare è un pensiero di mamma, lei che figli non ne ha mai avuti ma poco importa…tutte le donne lo sono, madri. E In viaggio è la canzone che tutte le figlie vorrebbero ascoltare prima di partire in cerca di un futuro al sud negato, sacrificato. Un testo intimo e delicato, una guida, un regalo da maneggiare con cura. “L’amore si odia” e “Sally”, la prima scritta da Diego Calvetti e la seconda da Vasco Rossi, aprono uno squarcio sull’universo femminile osservato dagli uomini e “Quello che le donne non dicono”, cavallo di battaglia, croce e delizia dei suoi concerti, lo chiude. La lascia cantare al pubblico perché è al pubblico che ormai appartiene. Le sonorità si fanno più etniche, l’atmosfera si scalda e si samba. O almeno lei lo fa, come un ritoliberatorio, balla sulle note folk de “Il Cielo D’Irlanda” e su quelle cubane di Clandestino di Manu Chao. Denuncia la clandestinità e l’illegalità dell’Italia, tutta. E “Ah che sarà” è la giusta alleata in questo. Un pensiero a Lucio Dalla con “La Casa in Riva” al mare e “Tango”, un testo del 1979, meno conosciuto, più emblematico. Alle 10 Lucio Dalla aveva lezioni di Tango, perché la vita non aspetta e sabato è domani ed è ancora oggi. Un sabato sera per cui dire grazie.
Una bandiera della pace legata stretta al microfono durante il concerto da alzare poi in alto insieme ai suoi musicisti, Carlo di Francesco alle percussioni, Diego Corradin alla batteria, Luca Visigalli al basso, Davide Aru alla chitarra, Fabio Valdemarin al pianoforte ai quali va il merito di aver creano sonorità ed atmosfere solo in apparenza contraddittorie ma che si dimostrano al contrario, e all’occorrenza, ora profonde, ora colorate e vitali, libere, in fermento, pulsanti ma leggere come i popoli del sud di tutto il mondo.