Musica

Neil Young & Crazy Horses @ Lucca Summer Festival – 25/07/2013

Carmen Navarra

Un gigante a Lucca

E’ un’atmosfera meravigliosa quella che si respira in Piazza Napoleone, il giorno 25 luglio 2013, all’interno del celebre Lucca Summer Festival.
Persone di ogni età con maglie che inneggiano a quella prima (e irripetibile) formazione di Neil Young: i Crazy Horse. Il cielo è terso nella città toscana e si combatte l’afa ‘a suon’ di biglietti da concerto, che fungono da (vano) refrigerio. I cancelli aprono alle sette e mezza in punto e una fiumana di gente si reca in loco: l’attesa è breve, i tempi collimano perfettamente. Ad aprire il concerto uno splendido Devendra Banhart, camicia a quadri e cappello da cow-boy. Imbraccia la chitarra e diletta gli spettatori con virtuosismi vocali del tutto inaspettati, spaziando dagli evergreen, come Carmensita  e Seahorse, ai pezzi tratti dall’ultimo album, Mala (Daniel, Golden Girls, Fuer Hildegard von Bingen, Never Seen Such Good Things).
Alle nove e mezza il californiano dalle musiche sudamericane e dalle ballate melliflue lascia il palco e orde di tecnici arrivano ansanti sul palco, preparando con cura l’evento memorabile che di qui a poco si paleserà agli occhi di un pubblico attento ed eterogeneo. Alle spalle del palco compare una gigantografia del simbolo caratterizzante Neil Young e i suoi Crazy Horse (Frank «Poncho» Sampedro alla chitarra, Billy Talbot al basso e Ralph Molina alla batteria); si tratta – come prevedibile – di un corsaro a cavallo, emblema della pazzia psichedelica e puramente rock della band canadese. Minuti di attesa macinano sotto un cielo che si colora di blu scuro: quando Neil sale sul palco si ha l’impressione che qualcosa si incrini alla bocca dello stomaco; una delle voci più belle che la musica abbia concepito è davanti ad una folla già in delirio. Cappello, capelli bianchi e svolazzanti, chitarra elettrica impugnata con forza tra le mani. Il concerto si apre con  Love and Only Love, un pezzo straordinariamente rock dalla durata di 10 minuti, con cui Young dà il benvenuto al pubblico italiano; a seguire una ‘spruzzata’ dell’ultimo album (2012), raccontato attraverso Psychedelic Pill e Walk Like a Giant, che incanta tutti per il ripetuto fischiettio, memore delle melodie che Young partorì insieme a Crosby, Stills e Nash.  Perdurano i momenti di panico e di rumore (Hole in the Sky, Red Sun), senza che una nota – per quanto i pezzi siano tutti percettibilmente lunghi – appaia superflua, fino a che le luci si affievoliscono e Neil viene lasciato placidamente da solo. Se si dovesse cercare un corrispettivo della perfezione, ebbene, questa si chiama Heart of Gold, che non è soltanto un pezzo cantato o urlato con le lacrime che rigano il viso, bensì un’unione spirituale di anime: tra l’artista e il suo pubblico, tra il suono della chitarra e quello dell’armonica. Ma non è finita: il momento folk si sublima nella forma tributo a Bob Dylan, di cui Young canta Blowin’ in the wind. Il respiro si accorcia, mentre il canadese va al piano e intona, al rientro dei suoi sul palco, un’incantevole Singer without a song. Ѐ andata via la prima ora di concerto: ve n’è un’altra parimenti intensa, contrassegnata di nuovo dal rock spumeggiante e dalla psichedelia roboante con le storiche Cinnamon Girl, Fuckin’ up e Mr. Soul. A fine concerto, dopo due ore e venti, Neil e i suoi si inchinano dinanzi al pubblico: ci si chiede se sia possibile tanta beltà. E si risponde con convinzione: sì, è possibile. E a dimostrarlo sono l’immensità ed unicità di Neil Young, un uomo la cui musica live sarà un evento da imprimere con un fermacarte nel cuore e da raccontare ai posteri, finché si ha abbastanza fiato in gola per farlo.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti