Joel Peter Witkin. Il maestro dei suoi maestri
Al PAN di Napoli è ancora possibile ammirare le 55 opere fotografiche di Joel Peter Witkin in un allestimento aperto al pubblico fino al 20 ottobre e realizzato con la collaborazione della Galleria Baudoin Lebon di Parigi.
Al PAN di Napoli è ancora possibile ammirare le 55 opere fotografiche di Joel Peter Witkin in un allestimento aperto al pubblico fino al 20 ottobre e realizzato con la collaborazione della Galleria Baudoin Lebon di Parigi. Un ritorno alle origini, giacché la nonna di Witkin era partenopea, da cui probabilmente l’artista ha ereditato l’amore per l’arte antica e, in un certo senso, un vivo culto dei morti.
Risulta difficile considerare Witkin soltanto come un fotografo. Dopo aver visto una sua mostra ci si accorge di trovarsi di fronte ad un artista a 360 gradi. Osservare una sua sola opera è come entrare in un’enciclopedia mentale attraverso secoli di arte, citazioni letterarie, dimensioni oniriche infuse di cruda realtà e, senza esagerare, si può oltrepassare la sfera del visivo sfiorando quella olfattiva, tanto è forte il suo potere suggestivo, (potrebbe accadere ad esempio contemplando, magari senza molta luce attorno, una delle varianti di “Natura morta”, con aggiunte di pesci e pezzi di cadaveri sparsi qua e là). Come un dipinto di Hieronymus Bosch, l’impatto visionario dell’artista è fornito da tantissimi particolari e dettagli simbolici che viaggiano tra il passato e il futuro, la vita e la morte, passando per revisioni religiose con rappresentazioni di cadaveri scomposti e ricomposti in chiave inquietante e talvolta ironica per giungere a perfetti collage di creature senza specie, innalzate al di sopra di qualsiasi possibile classificazione a parametri terreni. Una poetica del bello e del brutto che, passando per personaggi freak, modelli mutilati, defunti ed ermafroditi, fornisce all’osservatore un bombardamento di spunti per trip personali nel mondo dell’immaginifico.
In diverse interviste l’artista afferma di essere stato influenzato nei suoi lavori da un episodio shockante risalente alla sua infanzia: “Successe di Domenica quando mia madre, io e il mio fratello gemello stavamo scendendo le scale del palazzo in cui abitavamo. Stavamo andando in chiesa. Mentre camminavamo lungo il corridoio verso l’ingresso del palazzo, abbiamo sentito uno schianto incredibile insieme ad urla e grida in cerca di aiuto. L’incidente ha coinvolto tre vetture, tutte e tre con famiglie complete dentro. In qualche modo, nella confusione, lasciai la mano di mia madre. Nel punto in cui mi trovavo sul marciapiede, vidi qualcosa che rotolava da una delle auto rovesciate. Si fermò sul marciapiede dove mi trovavo: era la testa di una bambina. Mi chinai a toccare il viso, per parlarle, ma prima che potessi sfiorarla qualcuno mi portò via”. E subito tornano alla mente “Testa di un uomo morto” o “Cos’è la poesia quando siamo così piccoli”. Un episodio da cui è possibile dedurre uno degli aspetti fondamentali della sua opera, una fotografia post mortem, pratica già utilizzata in epoca Vittoriana fino agli anni ’40 del Novecento, attraverso la quale venivano rappresentati cadaveri in modo da apparire come vivi. Witkin si limita in alcuni casi a posizionarne gli arti e i busti come dei manichini, in modi eleganti, come nelle fotografie di moda. Una moda da cui attinge e che talvolta anticipa come in “ Apollonia e Dominatrix tormentano l’arte dell’Occidente” o in “Prudenza”, dove eleganti figure posano in plastiche forme spinte o leggere e sono decorate da turbanti, maschere o lunghi guanti neri.
Grande conoscitore dell’arte rinascimentale europea e di quella contemporanea, utilizza come tale numerosi e importanti dipinti dell’epoca per rifarne interpretazioni proprie, con l’immancabile presenza quasi ovunque di animali domestici presenti nell’arte fiamminga o olandese ma anche ripresi dalla mitologia antica. Troveremo piccole scale come quelle ‘fughe’ di Mirò o alcune facce informi di Picasso. Nelle composizioni di nature morte ci ritroveremo del dadaismo e poi ancora un Arcimboldo ad adornare un capo, ma sviato dalla didascalia: “Donna con piccoli seni”. Troveremo un Raffaello abbracciato dalla sua Fornarina, e lo troveremo morto, oppure la famosa “Zattera della medusa” di Géricault rivisitata in “Zattera di G.W.Bush”, richiamando la stessa satira politica.
La ben definita matrice pittorica delle sue fotografie è evidente dall’uso certosino di schizzi e bozzetti preparatori, dall’utilizzare tecniche miste che includono spesso la pittura e il collage, dalla stampa in bromuro d’argento, e infine dai graffi e macchie operate con un’alchimia tutta propria sui negativi. Il risultato è un bianco e nero dorato e a volte argenteo, che risalta una fotografia quasi anticata come i primi dagherrotipi; oppure colori vivi come in una grafica moderna che quasi coprono il disegno o la fotografia sottostante alla base dell’opera, dettagli tecnici che rapiscono l’occhio e che possono essere catturati soltanto in un contatto ‘live’ con le fotografie. Già Man Ray, padre del surrealismo fotografico, utilizzava tecniche sperimentali come la solarizzazione, il collage e le rayografie, e non a caso è anche a lui che Witkin si ispira in “Donna una volta uccello”, riprendendo “Le violon d’ingres” in cui la schiena di Kiki divenne, con due ‘effe’ della viola, uno strumento d’amore, e raffigurando a sua volta una donna con dei solchi sulla schiena che un tempo fu culla di ali e che, come un angelo caduto, diventa prigioniera della carne.
La donna in mille forme quindi, come “Divinità del cielo e della terra” che vede la Venere di Botticelli avere ora la chioma nera e diventare un’ermafrodita, o in una “La madre del futuro” con un feto in rilievo su un ventre di donna ed entrambi ad indossare una sorta di maschera antigas, in cui riprende così l’Odalisca di Manet.
La donna, la bambina anche: in “Nudo con maschera” omaggia l’Alice di Lewis Carroll, che fu al tempo anche fotografo.
Ci si ritrova dunque in un viaggio che va aldilà di ogni tabù, a tu per tu con la morte, che definisce come “il sonno senza tempo”. Come nel romanzo “Il Profumo”, dove Suskind ci racconta di un apprendista profumiere che, nella Francia sporca e puzzolente del Settecento, voleva distillare il profumo dell’anima dai corpi, Witkin riesce, come un apprendista stregone dei nostri tempi, a salvare e in un certo senso ad imbalsamare lo spirito che è ancora presente nei corpi delle persone, facendo riemergere anche dalle sembianze più strane e complesse, una purezza e una bellezza liberate dai più contorti e diversi vissuti.
Infine le didascalie: fantastiche e provocatorie, spesso presenti all’interno dell’opera stessa, sono impreziosite da particolari ritagli e piccoli tocchi di pittura a decorarle come nei quadri di Klimt. Ne “La triade di Parigi” è riportata a lato e al di sotto dell’opera la scritta: “La morte è come un pranzo… sta arrivando!”