Arti Visive

Vigamus – Museo del videogioco

Pasquale Parisi

Uno sguardo sul Vigamus, il primo museo del videogioco in Italia, che si è aperto ad Ottobre a Roma.

Mentre si discende la piccola, grigia scala, si potrebbe quasi pensare di avere sbagliato ingresso, se non fosse per la guida del filamento blu luminoso, in uno stile a metà tra Tron e Portal, e la grossa insegna a denotare bene il luogo in cui stai per fare ingresso. E mentre la scritta ti porta a riconsiderare ancora una volta l’effettiva esistenza di una struttura che non sarebbe stata più di una fantasia quasi perversa nel tuo periodo da videogiocatore bambino, vieni investito dall’esplosione di colori che è la prima vista dell’ambiente, mentre l’eccitazione dei presenti si fa quasi palpabile: Vigamus, il primo, vero museo del videogioco in Italia, è realtà.

Esteso su di una superficie di circa mille metri quadri, Vigamus nasce per iniziativa di Aiomi (Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive, presieduta da Raul Carbone) ed è diretto da una delle firme più prestigiose del giornalismo di settore italiano, quella di Marco Accordi Rickards.
La sezione centrale, in tutti i sensi, del museo, è intitolata Gamezero e propone una esposizione di stampo piuttosto tradizionale: dietro le teche ordinate per aree cronologiche e concettuali fanno bella mostra di sé oltre 150 pezzi tra console, home computers, accessori e videogames, prodotti che coprono un arco di tempo che si estende dai primi anni ‘70 fino al presente. La mostra è particolarmente forte sul lato hardware: sono presenti tutte le macchine che hanno fatto la storia del medium (ci si concentra, per ovvie ragioni, sugli apparecchi per uso domestico), dal Magnavox Odissey al NES, dal  Super Nintendo al Sega Mega Drive (presente anche nella variante Mega Drive II, davanti alla quale il sottoscritto ha versato le calde lagrime che ognuno dei presenti ha dedicato alla vista della prima console posseduta) fino alle Playstation di Sony, passando per rarità (Vectrex, Neo Geo AES), esperimenti poco riusciti (Nintendo Virtual Boy) ed una panoramica piuttosto completa delle console portatili. Notevole la quantità di “Pong machines”  esposte, tra le quali una chicca come il Play O Tronic di Zanussi, unico esempio di incursione italiana nel mercato di quel periodo. Ogni apparecchio è corredato di una targhetta identificativa di modello ed anno, il che è accettabile, anche se sarebbe auspicabile la presenza di schede più corpose. In compenso alle pareti sono affissi numerosi pannelli, ognuno nella doppia lingua italiano/inglese, che approfondiscono vicende, apparecchi e personaggi notevoli della storia dei videogames.

Accanto ad ogni piattaforma sono posti alcuni dei giochi ad essa dedicati: la scelta non sempre si concentra sulle pietre miliari, e qualche copia promo o in edizione economica fa scadere un poco l’insieme. Certo, appena a sinistra dell’ingresso è esposto un oggetto che non solo fa perdonare le poche cadute di stile, ma ruba tranquillamente la scena a tanti altri materiali: pezzo forte della mostra, si tratta dei master disk originali di Doom (ID Software, 1993), insieme alla lettera degli autori (quelli rimasti in ID, almeno) che ne ha accompagnato il viaggio dal Texas a Roma. Roba da brividi.

In effetti, però, la questione che mi pare più importante in relazione ai software è un’altra: stringendo fino ai tratti essenziali, il videogame risulta essere un prodotto audiovisivo fornito di una peculiare, fondamentale componente interattiva. Nell’ambito di Gamezero si espone il supporto mentre schermi fissati alle pareti mostrano il gameplay di videogames del periodo di riferimento: si è dunque cercato di trovare un giusto compromesso tra le componenti del medium, dal quale rimane comunque esclusa la componente interattiva. Se l’idea di un luogo in cui tutte queste piattaforme sono funzionanti ed a disposizione del pubblico supera abbondantemente l’utopia,  è comunque il caso di interrogarsi su questo aspetto, anche in vista di una futura, auspicabile, estensione fisica e di intenti del progetto.

Molto interessante lo spazio dedicato a Tennis for Two, rudimentale simulazione di tennis escogitata dal fisico Willy Higinbotham nel 1958 per il funzionamento su di un oscilloscopio, che sta al videogame quanto il fucile cronofotografico di Marey, o al limite La sortie des usines Lumiére stanno al cinema. Lo spazio allestito in collaborazione con il MEGA (Museum of Electronic Games & Art) prevede una ricostruzione dell’apparecchiatura originale ed una sorta di remake inteso per funzionare con il Kinect di Microsoft. All’evento di apertura erano inoltre presenti delle postazioni di prova per WRC 3, la nuova simulazione rallystica di Milestone, software house italiana che ha deciso di presentare proprio presso il Vigamus il suo ultimo lavoro.

La componente ludica vera e propria  è garantita da un delizioso spazio nel quale è posta una serie di cabinati, con svariati titoli sostituiti a rotazione (e nientemeno che il cabinato originale di Space Invaders in arrivo, grazie alla partnership con Taito). La stanza è buia, in disparte, e non potrebbe avere caratteristiche più adeguate: aggiungendoci la possibilità di fumare, sarebbe come avere a portata di mano quel frammento degli anni ’80 fatto di sale giochi romantiche ed ambigue, luoghi di ritrovo, di competizione e, agli occhi dell’opinione pubblica del tempo, spesso di malaffare (io non c’ero, ma ne ho sentito parlare) che hanno segnato una parte importante della storia del medium.

Altro importante ambiente del Vigamus è la Epson Multimedia Center, sala dedicata al lato più accademicoculturale del progetto. Al di là dell’esposizione, infatti, Vigamus si candida a diventare un polo culturale dedicato alla nobile arte dei videogiochi, sede di eventi quali seminari, corsi e conferenze. Si è potuto saggiare il potenziale di questa idea nei primi due giorni di apertura, durante i quali la sala ha ospitato gli appuntamenti previsti dall’IVDC (Italian Videogames & Digital Content Conference) 2012 che ha visto intervenire personaggi del calibro di Martin Hollis (Zoonami, ex Rare), Bonaventura di Bello (storico creatore di avventure testuali e consulente del Vigamus), Dino Dini (Kick Off), Federico Salerno (Gamescollection.it) e Matteo Bittanti, figura di primo piano nell’ambito dei game studies, purtroppo presente solo nella forma di intervento audio preparato in quel di San Francisco.

Questo è il Vigamus:  sicuramente potrebbero essere infinite le speculazioni relative a cosa avrebbe potuto essere o cosa non è, ma è fuori discussione il fatto che Vigamus sia probabilmente quanto di meglio una simile iniziativa poteva essere nel nostro Paese. Non resta che complimentarsi con i fautori ed augurare successo alla loro creatura, che merita decisamente di crescere ed assumere per il mondo videoludico italiano il ruolo di punto di riferimento al quale aspira.

Per tutte le informazioni rimando al sito del museo: http://www.vigamus.com/



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