Vetrina. “Revival”
Il ritorno di Stephen King alle atmosfere gotiche con un omaggio a H. P. Lovecraft e ai maestri dell’orrore.
“Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire”. Così scriveva H. P. Lovecraft, così riscrive Stephen King prima di dare inizio al suo Revival, giunto in Italia ancora una volta grazie a Sperling & Kupfer con la traduzione di Giovanni Arduino.
Un ritorno di nome che è anche un ritorno di fatto: il revival del titolo fa infatti parte della storia, rappresentandone un evento particolare e, insieme, la struttura portante, lunga digressione ad opera dell’io narrante Jamie che, dall’infanzia in avanti, s’impegna a raccontare il suo rapporto con l’eccentrico pastore Charles Jacobs, costituito da incontri reiterati e solo all’apparenza casuali. Il filo rosso – e non è una battuta – è ad alta tensione, percorso letteralmente da energia elettrica: una forza in cui Jacobs stesso comincia a credere più che nel suo Dio.
In questo modo il quadro è completo: accanto alle atmosfere lovecraftiane – comunque predominanti – si affianca l’istanza prometeica del Frankenstein di Mary Shelley, in un amalgama di tematiche goticheggianti che, dalle prime pagine, si direbbe in grado di tenere il giusto ritmo – diversamente che nei precedenti Mr. Mercedes e Doctor Sleep – e restituire il clima angosciante che si respirava fra le pagine del King d’annata.
Tuttavia, andando avanti la magia (nera) si allenta, lasciando spazio talvolta al Re nostalgico, che pure abbiamo imparato ad amare (specialmente nel sequel di Shining), e talvolta a quello che incespica nel pragmatismo da giallo di serie B, privo di sfumature; come se l’aver scritto Joyland (che era un whodunit) ne avesse modificato radicalmente il modo di scrivere, costringendolo di volta in volta a descrizioni minuziose delle indagini e abbondanti spiegoni.
Diceva l’Hemingway del film di Woody Allen: “Non scrivi bene se hai paura di morire”. E la paura della morte emerge fin troppo esplicitamente dalle righe di Revival. Non tanto come fatto sociale ma, piuttosto, come visione soggettiva. Il King di questo romanzo si rapporta al concetto di aldilà perché lo sente fisicamente vicino a lui, al punto che ha bisogno di mediarlo attraverso le suggestioni dei grandi maestri del genere – Lovecraft in testa – per riuscire a parlarne. E finisce addirittura per archiviarlo come esperienza creativa “da rimuovere”.
Non ha tutti i torti, forse. Eppure, Revival trova nel suo difetto principale, che è la sincerità, anche uno dei suoi pregi. E la disperazione che trasuda, soprattutto dal finale, fa paradossalmente sperare che il Re del Brivido non abbia perso completamente il suo smalto.
- Genere: Romanzo; horror
- Altro: Traduzione di Giovanni Arduino.