Libri

Vetrina. “Le lune nere”

Francesca Fichera

Buoni gli spunti, ma la forma non è all’altezza: così delude l’antologia postuma del regista Lucio Fulci.

 

Niente da dire in merito – o meglio: tanto si è detto e tanto ci sarebbe ancora, ma non in questa sede – al Lucio Fulci regista, del quale ci giunge, per Il Saggiatore, la nuova edizione di una raccolta di racconti risalente al 1992: Le lune nere.

Dieci brani che irradiano luci cupe e d’altri tempi, intessendo innanzitutto un rapporto di scambio, duplice e continuo, con l’universo cinematografico di cui Fulci si è reso imperituro autore: duplice perché non soltanto la scrittura su carta replica alcune forme di quella su pellicola, dimostrando di condividerne l’immaginario culturale di fondo (Voci dal profondo e Porte del nulla pongono le basi per gli omonimi film), ma anche in quanto le singole unità narrative inglobano stilemi – quando non termini tecnici veri e propri – appartenenti al linguaggio specialistico della sceneggiatura. Sono, cioè, più simili a sinossi che a racconti in quanto tali, e questo nei casi in cui l’azione non viene descritta con quella precisione dettagliata, ripetitiva e schematica che è richiesta a chi si occupa della stesura di script e affini.

Ma al di là dell’illusorietà (o dell’imprecisione) su cui fonda quest’antologia, ad aumentare le aspettative partecipano il nome stesso del regista insieme con – scelta suggestiva e quasi ‘obbligata’, a suo modo – la presenza in copertina del poster del film Sette note in nero. Nulla da eccepire neanche qui, anche perché starebbe a rappresentare uno di quei casi in cui un giudizio basato esclusivamente su quarte, riassunti e apparenze può essere quanto meno, e per una volta, salvifico. Perché? Perché Le lune nere non è un buon libro. E non lo è perché, andando avanti, si rivela incoerente, discontinuo nello stile e nei ritmi. Perché comincia in pompa magna, con un pezzo – I testimoni – di tensione ammirevole, leggendo il quale sembra di essere passati ‘dall’altra parte dello schermo’, immersi nei frame delle visioni fulciane; e poi incespica e cade rovinosamente in narrazioni goffe, sospese e colme di ingenuità (perfino sintattiche) come Buoni propositi – storia di una bambina colta da una febbre immotivata – o Attesa – un dramma familiare dai prevedibili risvolti horror.

Probabilmente gli amanti di Fulci e del suo cinema ne saranno comunque attratti. Per gli amanti del genere (o dei generi), invece, la delusione è dietro l’angolo. Specialmente in un momento storico nel quale si è (quasi) riusciti a sfatare il mito che disgiunge l’alta letteratura da quella di consumo, facendo sentire quest’ultima in diritto di essere sciatta, ancora di più se protetta dall’aura sacrale di un nome celebre.


  • Genere: Racconti

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