Dialoghi. Intervista doppia a Marco Marsullo e Paolo Piccirillo
Per Scene Contemporanee Mariangela Sapere ha intervistato Marco Marsullo e Paolo Piccirillo, co-autori del libro Dio si è fermato a Buenos Aires (Laterza).
Partiamo dalla fine: avete comprato il biglietto per Buenos Aires?
Marco: Paolo l’ha preso, ci tornerà. Io ho passato per quest’anno, ma di sicuro tornerò molto presto in Argentina, e a Buenos Aires. In realtà sento di non essermene mai andato. Quella città è ancora qui, dove sto io.
Paolo: L’ho comprato solo io, Marco non viene. Lui certamente ti dirà, offeso, che io ho prenotato senza dirgli nulla e cose del genere. Ma non è vero, lo sapeva. Forse ha paura di farsi altre tredici ore di aereo!
È nata prima l’idea del viaggio o quella del libro?
M: Prima quella del viaggio. È venuta a Paolo, che voleva andarci da un sacco. Io mi sono accodato più che volentieri, il Sudamerica è la parte del mondo che più di tutte mi ispira e incuriosisce. Poi, chiaramente a me (quello è un “addurmuto”, traduzione: addormentato), è venuta l’idea di fare il libro e raccontare il viaggio. Chiaramente, Laterza ha accettato (chiaramente perché io e Paolo siamo due mostri).
P: Del viaggio. Personalmente avevo in programma da un po’ di tempo di andare a Buenos Aires, allora ne ho parlato a Marco che poi mi ha lanciato l’idea del libro.
Com’è stato lavorare a quattro mani?
M: Per me, automatico. Vivo in simbiosi con Piccirillo da qualche anno e so sempre cosa pensa e come lo pensa. So anche che registro darà a un capitolo o che parole userà per descrivere una cosa piuttosto che un’altra. Complementarci è stato assolutamente automatico, almeno per me. Poi è bello sapere di aver scritto a quattro mani un libro insieme al tuo migliore amico.
P: Io e Marco siamo molto amici e quindi perfettamente in sintonia su molte cose della vita, nonostante le due scritture abbastanza diverse tra loro, perciò è stato tutto molto naturale. Ci confrontavamo prima sugli argomenti da trattare e poi singolarmente sviluppavamo, in solitario. Credo che alla base debba esserci tanta fiducia e stima nella scrittura dell’altro, se si vuole lavorare bene a quattro mani.
Siete entrambi nelle hit dei giovani scrittori promettenti italiani. La vostra vita è cambiata? Vi riconoscono per strada?
M: Credo riconoscano più me che lui. Sono stato una meteora televisiva, ho un pubblico più vasto, vendo di più. Credo che Piccirillo sia stato riconosciuto dai parenti lo scorso Natale, poi più nulla. Ah, tranne uno zingaro di Torre Spaccata a cui deve dei soldi. Lui lo ha riconosciuto di recente. In realtà la vita è cambiata e tanto; tante presentazioni, tante cose da scrivere, tante idee (quelle, per fortuna, ci sono sempre state). Sono contento così, ma questo è solo l’inizio, ho tante cose da scrivere (Piccirillo meno, è un arido).
P: No, la mia no, o meglio, è cambiata nella misura in cui almeno ho la certezza di star percorrendo la strada che voglio percorrere. Qualche anno fa non avrei potuto dire lo stesso.
Leggendo Dio si è fermato a Buenos Aires ci si fa l’idea che la parte “seria” del viaggio sia tutta opera di Piccirillo. È un pensiero fondato?
M: Non lo è. In realtà, il registro di Paolo è quello più serioso, più poetico, per certi versi. La forza della sua scrittura è questa vena cruda e immaginifica, che a me piace molto. Però noi dovevamo funzionare, ci servivano i due registri alternati. E allora io, che del ritmo alto e dell’iperbole irriverente faccio le mie caratteristiche, ci ho dato giù pesante. Serviva uno che accelerasse e uno che mostrasse le cose dal finestrino, tipo guida turistica con l’accento sereno.
P: Sì, Marsullo è solo un buffone di corte capitato in questo secolo per caso. No scherzo, in realtà non è un pensiero fondato. Certamente nelle intenzioni, e nel taglio che abbiamo voluto dare in base alle nostre scritture, la voce di Marco fa da contrasto alla mia più “seriosa”, però secondo me una delle forze di questo libro è che a volte le due voci si invadono e si contagiano: mi viene in mente il capitolo del cimitero della Recoleta, dove l’ironia di Marsullo prende una bellissima piega amara.
Uno degli obiettivi a breve termine di Marco è quello di fare il corrispondente ai prossimi Mondiali. Ci stai lavorando? Qual è l’obiettivo a breve di Paolo?
M: Credo l’obiettivo a breve di Piccirillo sia mettere i riscaldamenti in casa, dato che dove stiamo ancora non li abbiamo e lui ha freddo anche a gennaio (il nostro agosto, questione di emisferi, lo so, è incredibile, pure io non ci credevo prima di andarci) a Buenos Aires. Più seriamente, credo l’obiettivo di Piccirillo sia quello di consolidarsi con un editore sempre di più, gli serve serenità per dare corpo alle sue, tante, storie. Che meritano di essere al sicuro.
P: Andare a vedere i prossimi Mondiali spesato da Marco. E scrivere un film con Pedro Almodovar.
Un libro che regalereste all’altro. E un libro che regalereste all’altro per vendetta.
M: Io a lui ho regalato un sacco di libri e lui, proprio l’altra settimana, per la prima volta mi ha regalato un dvd firmato alla regia da Niccolò Ammaniti (il mio scrittore preferito, lui lo sa). Però gli regalerei per vendetta un libro qualsiasi di minimum fax della narrativa italiana, quelli tipo di Cognetti, cose del genere. Sono bravissimi, intendiamoci, ma non è il genere che lo farebbe felice.
P: La luna e i falò di Cesare Pavese. E per vendetta: uno di quei libri che vengono venduti come filosofici e fondamentali in cui si capisce subito che non c’è una storia, però una bellissima prosa (a lui piacciono tanto!).
State lavorando a qualche altro libro al momento? E se sì, a cosa?
M: Il prossimo anno uscirà il mio terzo libro con Einaudi, lo sto scrivendo, è un libro un po’ diverso dagli altri, più serio in alcuni punti. Ma comunque farò anche il cazzone, non ci sono dubbi. Insieme non credo lavoreremo a niente per ora. Ma abbiamo anche qui tanti progetti, il problema è che Piccirillo ha la grinta del paguro in coma farmacologico, devo sempre trascinarmelo. Che fatica essere il suo leader.
P: Sì, al prossimo romanzo.
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nell’immagine (da sinistra): Marco Marsullo e Paolo Piccirillo.
foto di Mariangela Sapere.