Vetrina. “La fortezza”
Un avvincente gioco letterario accompagna il grande ritorno di Jennifer Egan, in un vero e proprio tripudio post-modernista.
Non delude neanche stavolta Jennifer Egan, tornata qualche mese fa nelle nostre librerie grazie a minimum fax e all’edizione italiana – tradotta da Martina Testa – di The Keep: La fortezza, ultima frontiera raggiunta dall’ammirevole talento creativo dell’autrice di Scatola nera.
Tre parti per tre ambientazioni dominanti – un castello, un carcere e una casa, più alcune “location” secondarie – che si alternano e si intersecano in quello che, dopo un’incalzante introduzione in medias res e una manciata di pagine più o meno chiarificatrici, tende a configurarsi come un gioco letterario a tutti gli effetti – e, c’è da aggiungere, di rara e sapiente costruzione.
Anche le voci narranti, infatti, assecondano l’intreccio avvincente fra luoghi e tempi della storia, saltando dall’esplorazione in terza persona della fortezza al racconto in prima di un personaggio misterioso, apparso improvvisamente in corso d’opera, per concludere con il monologo interiore di una figura femminile che unisce e collega ogni parola fino ad allora scritta.
D’altra parte, l’incastro narrativo è solo una delle mille chiavi possibili di lettura, forse perfino la più superficiale. Dal suo punto di vista La fortezza intrattiene, coinvolge, spinge il lettore a capire, dubitare e sfrecciare sulle pagine; eppure, nel mentre, raggiunge e ricrea abissi semantici infinitamente percorribili. Labirintici come il castello e il sistema di segreti che nasconde.
Per quanto lungi dall’elegante pregnanza di Guardami, l’ultimo romanzo della Egan è una dimostrazione magistrale del fatto che l’arte dello scrivere, a scapito della sua inflazione, non abbia esaurito i suoi assi e le sue scintille. Al contrario, risorge e prolifera là dove all’avere davvero qualcosa da dire – una storia da raccontare che ne contenga altre cento, per intenderci – s’aggiunge un modo nuovo e intimamente consapevole di scriverlo.
E questo succede con libri come quelli di Jennifer Egan: emozionanti e intelligenti, popolari e letterari – del resto, dovremmo essere finalmente arrivati al punto d’abbandono di certe distinzioni manichee e fini a se stesse. La buona scrittura in sostanza è questa, e ne vogliamo ancora e di più. E non solo in traduzione.
- Genere: Romanzo
- Altro: Traduzione di Martina Testa.