Vetrina. “Panopticon”
Una discesa in un’allucinata e disperata Isola che non c’è: Panopticon, il romanzo d’esordio di Jenni Fagan.
Duro, diretto, implacabile, il romanzo d’esordio della scrittrice scozzese Jenni Fagan pubblicato da Isbn Edizioni riflette le inquietudini insite nel titolo: Panopticon, l’edificio carcerario ideale concepito dal filosofo Bentham nel 1791 strutturato in modo che tutte le persone al suo interno (pan) potessero essere osservate (opticon). È lì, in quella struttura di vetro a metà tra una casa famiglia e un riformatorio – che si erge “come un’enorme falce di luna” – che la protagonista e voce narrante del libro, la quindicenne Anais Hendricks, viene condotta con l’accusa di aggressione ai danni di un’agente finita in coma. Se sia stata davvero Anais non lo sapremo mai, così come non lo saprà lei, così devastata dal solito mix di droghe da non ricordare nulla. Ma in fondo per la ragazza non fa alcuna differenza, abituata com’è a passare da un istituto a un altro: “7652.4-Reparto 48 è stato il mio primo nome. A quanto pare la mia biomamma mi ha sparato fuori nel reparto sbroccati e poi si è buttata giù […] ho cambiato ventiquattro sistemazioni prima di compiere sette anni, sono stata adottata, rimasta sola a undici,e ho cambiato altri ventisette posti negli ultimi quattro anni”, spiega con un tono da voce registrata. E agli psicologi che liquidano il caso con un secco “problema di identità”, Anais-cuore-di-squalo risponde “non ho un problema di identità: non ho un’identità, solo riflessi condizionati e un velo che va scomparendo tra questo mondo e quell’altro”.
Perché la ragazza dai lunghi capelli neri, oltre a essere estremamente sboccata, vede continuamente cose che non esistono (facce nei muri, bare che pendono da rami rinsecchiti, gargoyle che prendono vita) e ha piccole manie a tenerle compagnia, come contare o nominare tutto ciò che vede, o il dubbio di essere un esperimento creato in laboratorio, o ancora “il gioco del compleanno” durante il quale fantastica di discendere da famiglie sempre diverse, immaginate fin nei minimi particolari. Attraverso una prosa diretta e impetuosa, priva di giudizi morali, Fagan conduce il lettore in una disperata Isola che non c’è, in parte autobiografica, popolata da adolescenti perduti – Alis, Isla che ha l’AIDS e si taglia per la mancanza dei due figli, Tash che si prostituisce per regalare a sé e a Isla un futuro decente, il piccolo Brian pervertito cronico – che la società si limita a ignorare (nella migliore delle ipotesi) o a scrutare (nella peggiore). Un romanzo difficile da dimenticare, da leggere d’un fiato, prima che ne esca la trasposizione cinematografica prodotta da Ken Loach.
- Genere: Romanzo
- Altro: Traduzione di Barbara Ronca.