#INDialoghi – Intervista a Pietro Del Vecchio
La prima intervista della serie INDIaloghi, l’iniziativa di Scene Contemporanee dedicata all’editoria indipendente, ospita Pietro Del Vecchio.
A inaugurare INDIaloghi, il ciclo di interviste di Scene dedicato all’editoria indipendente (di cui qui è disponibile una presentazione), è Pietro Del Vecchio, che risponde alle domande di Francesca Fichera.
L’editoria indipendente fra ideale e concretezza: cosa si fa per colmare questa distanza? Cosa si dovrebbe fare ancora?
Il vero punto nodale per l’editoria di progetto è allargare la base di lettori forti, lavorando per stimolare la lettura tra coloro i quali hanno con il libro un rapporto non costante ma neanche così rarefatto. E questo lo si ottiene, tra le altre cose, con la qualità dei propri cataloghi e delle proprie proposte editoriali. I dati statistici concordano nel confermare le tendenze al ribasso sia per quanto riguarda la percentuale dei lettori sia per quanto concerne quella degli acquirenti di libri e tutti, quindi, parlano del basso tasso di lettura in Italia, ma il fatto che tutti ne parlino non focalizza necessariamente il problema. Altri mantra, oltre a quello secondo il quale in Italia non si legge: al Sud non si legge, il rosso (o il verde, a seconda delle stagioni) non vende, i racconti non vendono, la poesia non vende, le copertine complicate non vendono. Io noterei il comune denominatore di queste narrazioni: ad esempio, l’affermazione secondo la quale “i racconti non vendono” non è neutra e non ha lo stesso peso se pronunciata da un editor, da un direttore editoriale, da un distributore invece che da un lettore. Il punto fondamentale è, secondo me, che siamo stati inondati in questi anni da migliaia di sottoprodotti culturali e letterari spacciati per “capolavori”, da moltitudini di operazioni pseudo-giornalistiche etichettate come “recensioni”, e molti dei luoghi deputati a produrre cultura e democrazia – case editrici, librerie, quotidiani, periodici, radio e televisioni – hanno svenduto la propria funzione e la propria missione. Citando Ben Parker, il nonno di Peter Parker, cioè l’uomo ragno, «da un grande potere derivano grandi responsabilità», in questo caso politiche, sociali e culturali. Ci si potrebbe interrogare a lungo sull’uso che di questo potere è stato fatto. Bisogna vendere, è questo l’imperativo, e per vendere ci si è convinti che bisogni pubblicare in grande quantità scrittori e scritture scadenti, quindi adatti al contesto culturale che staremmo vivendo. Io credo che sia vero l’esatto contrario. Per incrementare il numero dei lettori occorre strutturare e appoggiare progetti editoriali di qualità, case editrici che facciano della qualità il nucleo del proprio business. Insomma, non esiste una crisi del libro (è questa – a mio avviso – la prospettiva corretta in base alla quale osservare il fenomeno) o dei lettori, esiste una crisi di un modello di editoria basato sui bestsellers costruiti a tavolino e sull’invasione delle novità.
In un suo editoriale, apparso sul web lo scorso marzo, ha scritto: “Le logiche promozionali e distributive, il marketing pervasivo ci hanno fagocitato. […] I lettori li abbiamo creati noi, non viceversa”. Quanto è possibile ridimensionare il ruolo delle leggi di mercato, far sì che possano rappresentare una vera risorsa e non un limite?
Il problema non è il mercato, ma l’idea di mercato che ci è stata propinata ideologicamente negli ultimi 20/30 anni. I lettori in Italia, quindi, esistono: ancora capaci di scegliere criticamente e quindi non solo di resistere ma addirittura di desiderare e sognare. Noi editori di progetto che desideriamo e sogniamo, siamo cercati soprattutto da lettori affini, attenti, critici, curiosi, esigenti e che immaginano la lettura (e/o la scrittura) non come un atto egocentrico di ripiegamento su se stessi, ma come un atto di fiducia e apertura verso il mondo. Non è che noi siamo particolarmente coraggiosi o capaci, è che il livello dei progetti editoriali si è abbassato considerevolmente, e quindi i lettori cercano e premiano le case editrici e i progetti di qualità, per i quali esiste ancora uno spazio di manovra crescente. La logica della domanda e dell’offerta è valida solo a quelle che in chimica si chiamerebbero “condizioni normali”: produzione ragionata, concorrenza leale, accesso paritario al mercato eccetera. Ciò che non è chiaro, secondo me, è che l’abbassamento della qualità della proposta editoriale è coinciso con una diminuzione del numero dei lettori di libri. E non è soltanto a causa della concorrenza con altre forme di intrattenimento o informazione. Faccio un esempio. Frequento il Salone di Torino ormai da 5 anni, e c’è una domanda che mi ha assillato sin dalla mia prima partecipazione: perché chi frequenta il Salone, dopo aver speso una decina di euro di biglietto d’ingresso, si affolla nei padiglioni di quegli editori, ad esempio Feltrinelli o Mondadori, i cui prodotti sono facilmente reperibili nelle librerie sotto casa – le quali spesso e volentieri sono librerie a marchio proprietario – e addirittura con uno sconto maggiore rispetto a quello che potranno trovare in fiera, laddove hanno oltretutto pagato il biglietto d’ingresso? Una delle risposte a questa domanda l’ho trovata dopo essere stato al Lucca Comics&Games. Il pubblico che accede al Lucca Comics&Games è disposto a pagare anche 18 euro di biglietto di ingresso al giorno, perché senza dubbio è un pubblico altamente specializzato, informato, che conosce il mercato e lo frequenta con passione. Un pubblico che di questo mercato si fida, perché in esso sa di trovare la risposta ai propri bisogni. Spende 18 euro di biglietto di ingresso, ma ne spende in prodotti molti di più. Che cosa è questa se non ciò che banalmente possiamo chiamare ‘fiducia’? Le case editrici di fiction hanno, al contrario, disaffezionato il lettore italiano con prodotti scadenti tanto dal punto di vista della qualità dell’oggetto libro, quanto soprattutto dal punto di vista dei contenuti. Se nel mondo del fumetto la percentuale di prodotti scadenti è del 20%, nel mondo della fiction la proporzione è esattamente inversa. Il lettore che paga 10 euro per entrare al Salone – e che non ha a disposizione un budget illimitato – sarà spinto inconsciamente ad acquistare i libri di quei marchi che già fanno parte in maniera subliminale del proprio universo cognitivo (perché sono marchi con una lunga storia alle spalle, perché ne frequenta le librerie di proprietà, perché ne conosce gli autori che inondano i media e così via). Una volta spesi 10 euro di biglietto di ingresso, cioè, è molto meno disposto a rischiare. Il lettore di fumetti si fida del mercato del fumetto – un mercato caratterizzato da una generale qualità – e acquista con fiducia i suoi prodotti; il lettore di fiction non si fida del mercato di riferimento – un mercato caratterizzato da una generale tara di scadimento – e non acquista con fiducia i suoi prodotti, rivolgendosi quindi, inconsciamente, a quei noti marchi che lo rassicurano ma che sono altamente corresponsabili dello scadimento generale. Il lettore di fiction è, quindi, sempre meno un lettore e sempre più un consumatore.
Come si muove e a cosa punta Del Vecchio Editore in questo panorama?
Siamo una casa editrice indipendente di ricerca e letteratura e pubblichiamo tre collane: formelunghe, formebrevi e poesia. Formelunghe si concentra sul romanzo: i classici moderni, le grandi scritture contemporanee e nessuna preclusione geografica o ideologica. Nella collana formebrevi pubblichiamo racconti, novelle brevi, short stories, reportages e brevi saggi narrativi. La collana poesia, premiata nel 2013 come la migliore in Italia quanto ad autori tradotti e coraggio di scelte editoriali, propone sempre in testo a fronte alcuni tra i maggiori poeti contemporanei internazionali. Punto di forza della casa editrice è la cura del testo, dalla sua valutazione alla sua presentazione al lettore: siamo infatti convinti che cultura e bellezza siano valori etici interdipendenti e come tali vadano presentati al lettore. In questi anni, infatti, abbiamo puntato tutto sulla qualità dei nostri autori e dei nostri progetti: abbiamo fatto conoscere la magnifica esordiente Deborah Willis con Svanire, Moussa Konaté, Sibylle Lewitscharoff, Ciaran Carson e Daniel Sada, abbiamo pubblicato inediti di Colette e Max Frisch e nel 2014 tra i nostri autori ci saranno Marcelo Backes, Laurent Mauvignier, Marguerite Duras, Felicitas Hoppe, Burhan Sönmez, Luca Ragagnin, Roberto Arlt, Philippe Forest. Dal maggio del 2013 abbiamo rinnovato interamente la nostra grafica affidandoci a Maurizio Ceccato/ifix. Siamo riusciti – ovviamente a nostro parere – a realizzare un oggetto valido anche dal punto di vista estetico, pensato per un consumo e un piacere che non siano affrettati e distratti: i libri hanno bisogno di tempo, cure e attenzione. Diamo infatti il giusto valore alla bellezza e alla utilità delle informazioni e per questo motivo nei nostri volumi ci si può fare un’idea del testo attraverso i tag in quarta di copertina che raccontano il libro per parole chiave oppure si può scoprire la lettura della redazione attraverso le ironiche “istruzioni per l’uso” in fondo al testo, oppure trovare in cover il nome del traduttore accanto a quello dell’autore e grazie alla sua “scatola nera” seguirne le scelte che lo hanno guidato nella sua operazione di resa in italiano. Credo che il vero filo conduttore sia il fatto che i lettori apprezzino un progetto editoriale definito e comincino a riconoscere nei nostri libri tematiche e stili non scontati, una certa ironia del testo e sul testo e un certo ottimismo della consapevolezza: cerchiamo infatti di proporre loro libri che li sfidino, che non li rassicurino, che li destabilizzino nel costringerli all’analisi e al confronto.
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Logo design (immagine dell’articolo): IFIX