Vetrina. “AristoDem – Discorso sui nuovi radical chic”
Un po’ aristocratici, un po’ democratici: sono i nuovi radical chic nostrani crudelmente analizzati da Daniela Ranieri.
Chi sono gli Aristodem, “gli aristocratici democratici, nuovi radical chic post-ideologici, e anzi post-tutto, ma in teoria di sinistra, della già fatiscente terza repubblica?” A fornircene un’analisi minuziosa è Daniela Ranieri con il suo AristoDem: Discorso sui nuovi radical chic (edito da Ponte alle Grazie), un corposo volume che unisce le caratteristiche del pamphlet – vis polemica, suddivisione tematica dei capitoli – a quelle della problem play shakespeariana attraverso una scrittura a metà tra il romanzo e il saggio antropologico. Ma andiamo con ordine.
Il titolo, innanzitutto, si rifà a un termine coniato dall’autrice stessa per distinguere questa “pseudo-classe” dai radical chic descritti da Tom Wolfe nel suo fortunato libro del 1970 (Radical chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto): se i secondi appoggiavano e finanziavano il partito radicale delle Pantere Nere, gli Aristodem nostrani invece non appoggiano nessuna causa oltranzista – non hanno cioè niente di radical – ma predicano un moderatismo improntato alla decenza e al perbenismo. Essi sono dunque aristocratici – per la propria chiusura e “presunzione di potersi ergere a guida morale di un popolo incolto e incivile” – ma anche democratici per via della simpatia – solo professata – nei riguardi di tale popolo.
In alcune parti davvero riuscite, l’autrice – che ha realmente frequentato gli aristocratico-democratici di cui parla nel libro – riesce ad affrescare in maniera vivida e convincente la schiera di personaggi iperbolici dai nomi impronunciabili (Froidiana, Glauco, Similaun, Dolmen, Annacqua, Vimecar, Saturnia, Malthusiana, Antiloco, Frattale, Efim, TertullianoMaria, Pagoda, Angòla) che si incontrano periodicamente sulla terrazza della cinquantenne Luciana in corso Trieste a Roma, alternando dialoghi godibilissimi a descrizioni dettagliate che toccano, capitolo per capitolo, tutte le sfere del loro piccolo universo: dal linguaggio ai cibi, vini, vestiti e viaggi preferiti, dal concetto di famiglia, sesso e religione alla concezione di arte e cultura, passando per l’arredamento e la politica.
Oltre che per la scrittura – indubbiamente notevole – e per l’ampiezza della analisi, il libro di Ranieri è da apprezzare anche perché le critiche non sono mosse da comode posizioni di destra ma da una sinistra marxista i cui insegnamenti, secondo l’autrice, questi pseudo-intellettuali hanno tradito, finendo per assomigliare proprio al nemico contro cui hanno combattuto per anni.
Dall’altro lato però, il volume appare eccessivamente auto-compiaciuto, la divisione tra dialoghi e parte saggistica non funziona e il sarcasmo risulta esacerbato da un risentimento personale “frutto dell’invidia”, come confessa, d’altra parte, l’autrice stessa, che in tal modo tenta di rispondere alle eventuali critiche di “recensori stipendiati”. E che risulta, invece, così arrogante da gettare su un testo originale e interessante l’ombra dell’antipatia. “ Il crepaccio più incolmabile tra me e loro – scrive Ranieri – è che loro fanno finta di essere colti, a volte persino attraverso la raffinata finzione di non esserlo; mentre io lo sono, a volte persino soffrendo di esserlo”. Ecco, appunto. Un vero peccato.
- Genere: Saggistica