Vetrina. “Le rane”
Mezzo secolo di storia cinese, in cui le rane sono il filo sottile che conduce il lettore in un viaggio attraverso la drammatica ‘politica del figlio unico’.
Le rane, ultimo romanzo di Mo Yan, insignito del Nobel per la letteratura nel 2012, è un racconto critico della società cinese, vista nel periodo dagli anni Trenta ad oggi, passando per l’occupazione giapponese, la rivoluzione culturale, la politica di controllo demografico.
Il romanzo parte dall’espediente della lettera che Xiaopao, il narratore, scrive al letterato giapponese Yoshihito Sugitanu, per raccontargli le vicende della zia Wan Xin. La donna fu la prima levatrice “moderna” della regione del Gaomi, ed ebbe il merito d’aver posto fine alla tradizione delle mammane – a suo parere megere ignoranti – e d’aver fatto nascere migliaia di bambini. Wan Xin si forma in una Cina rurale, arcaica per le credenze, le usanze e le condizioni di vita. Grazie alla sua arte di levatrice, negli anni Cinquanta, diventa nota e benvoluta ovunque, ma dai Settanta in poi, quando si fa rigida esecutrice del piano di controllo delle nascite imposto dal governo, il vento cambia. Militante fedelissima del partito, porta all’estremo una battaglia controversa in luoghi in cui la discendenza, soprattutto maschile, è un valore vitale. Nelle zone di sua competenza la legge del figlio unico viene fatta osservare con severità disumana: Wan Xin diventa fanatica e crudele, pratica interruzioni di gravidanza anche all’ottavo mese, veri e propri infanticidi, e non di rado, per mano sua, muoiono anche le madri sottoposte ad aborto forzato.
Il buio medievale che sembra oscurare questa intera epoca,si dirada un po’ con l’avvento degli anni Novanta. La nuova Cina cavalca l’onda del progresso, il denaro circola e aiuta ad aggirare le leggi sul controllo delle nascite: il benessere può comprare anche la discendenza.
Il libro di Mo Yan, costato all’autore dieci anni di lavoro, è un enorme e vario affresco – in cui il tragico e il comico si alternano – ma anche una critica severa della società cinese. Nel raccontare le vite di decine di personaggi, l’autore spesso divaga nel seguire rivoli secondari, allontanandosi dal fiume principale. La lettura, man mano che si avanza, diventa faticosa, e talvolta, complici i nomi cinesi, anche oscura. Eccessive le quasi 400 pagine, considerando che l’intero romanzo è, nelle intenzioni, un insieme di lettere; eccessiva la monoliticità della protagonista, che pare priva di sfumature, e non si salva neanche con la redenzione della vecchiaia, cominciata dopo un incubo in cui il gracidare di migliaia di rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati.
Ne risulta un grande romanzo epico in cui la figura dell’eroe a tratti è troppo ingombrante, risultando talvolta fuori luogo. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un calderone in cui sono stati messi a cuocere troppi elementi, al punto da conferire al tutto un gusto confuso e a volte noioso.
- Genere: Romanzo