Vetrina. “La lucina”
Un’opera misteriosa, sfuggente e affascinante, dall’inconfondibile penna di Antonio Moresco
Intervistato su questo suo ultimo lavoro, La lucina, edito da Mondadori, Antonio Moresco dichiara di non essere in grado di parlarne. Si tratta infatti, come sottolinea lo stesso scrittore nella Lettera all’Editore, di un’opera intima e segreta, “testamentaria”, una scatola nera scaturita da una zona molto profonda della sua vita che è cresciuta a poco a poco fino a diventare troppo grande ed esigente per poter essere inglobata nel prossimo corposo romanzo a cui l’autore sta lavorando, Gli increati. Al lettore non resta dunque che aprire questo piccolo grande racconto e lasciarsi trascinare dallo stile inconfondibile di Moresco attraverso il borgo deserto immerso nel bosco dove l’anonimo protagonista ha deciso di rintanarsi per “sparire”, e di incuriosirsi con lui alla scoperta di una lucina che si accende ogni sera, alla stessa ora, sulla montagna di fronte, lì dove non dovrebbe esserci nessuno. Dietro quel muto segnale intermittente l’uomo scoprirà esserci la più improbabile delle figure: un bambino con la testa rasata e un dentino rotto che vive, solo e completamente autonomo, in una piccola casa di pietra, e che sembra non appartenere a questo mondo né a questo tempo.
Attraverso una scrittura “scandalosamente semplice” Moresco riesce a tessere una fiaba misteriosa e complessa sul grande quesito filosofico che da sempre affligge l’animo umano: il senso profondo dell’esistenza. A fare da sfondo a questa incessante e dolorosa ricerca vi è una natura ottusa, di leopardiana memoria, contro la quale puntualmente si infrangono le continue domande del protagonista. In quella “disperazione vegetale” dunque si riflette quella dell’intera umanità, nel suo moltiplicarsi le stesse dinamiche della società – “tutte queste vite che si imprigionano le une con le altre, questa creazione continua di colonie per occupare sempre più grandi porzioni di territorio e sottrarlo agli altri. Perché?” – con la differenza sostanziale che mentre l’uomo è destinato a scomparire, la natura continuerà a vivere in eterno riprendendosi ciò che le è stato negato: “nuove città risagomate e nuove visioni vegetali urbane fagocitate si affacceranno alle masse orizzontali liquide dei mari, degli oceani, lanciando ancora più avanti i loro uncini per ricongiungersi alle foreste dormienti sotto le loro acque mute nell’oscurità più profonda, per destarle dal loro sonno e ricoprire il mondo”.
“Non c’è niente! Non c’è niente! C’è solo, da ogni parte, questo disperato pullulare di vita e morte attraverso il tempo, lo spazio, questo disperato fantasticare” è l’amara conclusione del protagonista. A questo punto allora l’unica soluzione sembra quella di lasciarsi incantare da quella sirena di luce fioca (la Letteratura? l’Illusione?) capace di distrarre, almeno per qualche istante, dall’infelicità, proiettandoci in un altrove in cui realtà e finzione, vita e morte, tempo e spazio si con-fondono e l’uno si riscopre parte del tutto nell’eterno cerchio del divenire.
- Genere: Narrativa italiana