Vetrina. “Allegro occidentale”
L’odissea tragicomica di “Mister Piccolo” attraverso mondi diversi che finiscono con l’assomigliarsi
Capovolgendo i punti di vista il risultato non cambia, un po’ come succede con la proprietà commutativa in aritmetica: è quanto dimostra, dal suo primo capitolo in avanti, Allegro occidentale di Francesco Piccolo. Versione contemporanea – e sicuramente sui generis – del “giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne, il lungo diario di viaggio curato dallo scrittore e sceneggiatore casertano altro non è che il tentativo di trattare, con un’ironia che spesso si fa amara, l’infinita e molteplice complessità dei rapporti che s’instaurano fra un emisfero e l’altro del mondo attuale.
Piccolo scrive in prima persona, afferrando il lettore per un braccio (ma con simpatia) e tirandolo all’interno della folta serie di situazioni, spesso assurde, che compone il suo romanzo. Così catapultato in medias res, lo spettatore di questa odissea tragicomica comincia subito ad imparare qualcosa, a lasciarsi trasmettere un insegnamento: ad esempio, il fatto che gli orientali non siano in grado di distinguere i caratteri somatici degli occidentali alla stessa maniera in cui gli occidentali credono che gli orientali siano praticamente tutti uguali; oppure la strana e un po’ fastidiosa abitudine delle hostess australiane di spruzzare disinfettante prima che l’aereo tocchi terra; o, ancora, la fissazione hongkonghese per i biglietti da visita, senza i quali si è a tutto diritto estromessi dalla società – poiché privi di un’identità ulteriormente certificata.
Ma c’è anche, e ovviamente, il viaggio a pochi passi da casa, in una Roma calviniana – perché richiama tanto Marcovaldo quanto Le città invisibili – che angoscia ed opprime, con le sue zone che quasi non sono più città eppure vi rientrano, con le strade buie popolate da statuarie prostitute, con i parchi-labirinto dove un palazzo si differenzia dall’altro solo grazie ad una lettera. Ritorna quindi in veste (semi)nuova il discorso sul cammino fisico che diventa percorso mentale, movimento interiore, crescita. In poche parole: viaggiare per relazionarsi sempre al luogo di se stessi, in qualsiasi posto ci si trovi. Tuttavia, il modo scelto per rendere il concetto passa con facilità dal campo semantico del divertimento a quello, a tratti snervante, della noia. Il ritmo di Allegro occidentale è come un bimbo su di un’altalena: punta i talloni e si ferma quando indugia su un dettaglio per svilupparlo con prolissità; impenna nel momento in cui coglie lucidamente la naturalezza della suggestione, contribuendo – fra le altre cose – a ritrarre con sottile disprezzo un certo tipo di provincialità “tutta occidentale”. E forse tutta italiana.
Certo è che, giunti alla fine del percorso, la conclusione di chi scrive non ha molte possibilità di coincidere con quella di chi legge. Quest’ultimo può solo dire di aver appreso una lezione, d’essersi tolto qualche curiosità. E se questo era lo scopo – o parte di esso – allora non c’è altro da cercare.