Libri

Anatomia della ragazza zoo

Mariangela Sapere

Il dramma di una disintegrazione familiare, in un viaggio al termine dell’individuo, nella seconda opera di Tenera Valse

Ci sono libri di cui è difficile scrivere, perché si ha la sensazione che ogni descrizione sia riduttiva, bidimensionale rispetto a un qualcosa che nella sua totalità viene percepito come multidimensionale, e allora si ricorre alle immagini per supplire alla limitatezza del discorso.

Anatomia della ragazza zoo, opera seconda di Tenera Valse, è una piramide capovolta: da un affresco dell’Italia, si digrada in una città, una casa, una famiglia, un individuo, e più a fondo, nei suoi processi emotivi, cognitivi, fisiologici.

Le faccende italiane scorrono al di fuori delle mura della casa, senza entrare né dalle porte, né dalle finestre, con il fare tipico degli ambienti piccolo borghesi: cosa ci importa se scoppiano le bombe, ciò che conta è che a casa nostra si stia bene. Ma proprio qui sta il nodo della faccenda, a casa loro non si sta bene.

Una famiglia in cui alla realizzazione maschile corrisponde un modello femminile basato sull’accondiscendenza, sulla capacità di aderire alle aspettative di ruolo, dove il ruolo è quello di madre e moglie. Lui, il marito, è un leader autoritario con aspirazioni da superuomo nitzschano, desideri di sopraffazione degli ignoranti, che non accetta il contraddittorio.

A subirne la tracotanza tre figli: Alea, la maggiore, è l’unica che riesce ad avere un pensiero divergente, Danny, il figlio maschio, sceglie la fuga negli Stati Uniti, e Càmila, che manifesta una strana capacità di adattamento al peso familiare.

Alea, come il fratello, sceglie la fuga, ma in maniera più definitiva. Sparisce a 25 anni, il giorno della vigilia di Natale. Segue il silenzio, nessuno la cerca, lei mantiene contatti telefonici solo con la sorella. Si rifugia in un antro sotterraneo, lascia il lavoro e comincia una sperimentazione su se stessa, perseguendo al contempo un confronto/sfida con il padre, che si dipana sui vari livelli del presente e del passato, dell’esterno e dell’interno, attraverso la mente e il corpo.

Tenera Valse è una scrittrice poliedrica, intelligente, colta. Il suo uso della lingua è sapiente e articolato. Molteplici i riferimenti tratti dal mondo del cinema, dell’arte, dei miti, delle scienze, della cultura. Il suo romanzo è un’opera imponente, forse troppo. Il rischio è quello di perdersi nei meandri di un linguaggio che riflette in maniera precisa i labirinti dei processi mentali, ma risulta un po’ forzato se abbinato a situazioni di vita quotidiana. In alcuni casi la scrittura diventa un ostacolo, il contrario di ciò che Raffaele La Capria descriveva ne Lo stile dell’anatra: quella leggerezza della che non fa apparire sulla superficie della pagina il faticoso lavoro che è costata. La ricchezza lessicale, i giri pindarici, le citazioni, rendono ogni brano un concentrato prezioso e straordinario, ma diventano onerosi se si protraggono per 352 pagine.


  • Genere: Narrativa Italiana

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