Vetrina. “Il torto del soldato”
Il consueto stile di Erri De Luca in una narrazione a voce “biforcuta”, che precede di soli sei mesi l’uscita dell’inedito La doppia vita dei numeri
Infallibile è il turbine sinestetico provocato dalla scrittura di Erri De Luca, che ritorna ad affascinare i suoi lettori con Il torto del soldato. Chi conosce i multiformi fondali del mare delle sue opere, troverà familiare e accogliente lo stile narrativo di quest’ennesimo racconto, che precede di soli sei mesi l’uscita dell’inedito La doppia vita dei numeri, in libreria dal prossimo 14 novembre.
A prender forma ne Il torto del soldato è, ancora una volta e nonostante l’appartenenza dei personaggi a terre straniere, un avvolgente profumo di origini, esalazione delle tradizioni mai morte, ma vive e pulsanti, nel cuore dell’autore. Odori, sapori, modi di agire e di guardare, tracce costituenti una vera e propria mappatura del sentire, prima di tutto umano e poi meridionale, di De Luca. Una “napoletanità” signora, estremamente discreta, che fa capolino a sprazzi dalle ottantotto pagine del libro. Il quale è molto più di un racconto a due voci. È, piuttosto, la biforcazione di una voce attraverso due corpi: quello maschile, sottilmente autobiografico, dello sconosciuto avventore di una locanda, appassionato studioso di yiddish; e quello, femminile ed etereo, di una modella delle Belle Arti che è anche e soprattutto figlia di un criminale di guerra sotto mentite spoglie. Il soldato del titolo, quello il cui unico torto – come per i soldati tutti, secondo lui stesso – «è la sconfitta». Accanto alla spontanea umanità del proprio scrivere, De Luca pone così l’indescrivibile disumanità della Shoah, accarezzando con le parole la cultura del popolo che ne ha attraversato l’inferno. E stendendo, nel contempo, i contorni di una figura piccola dall’immensa vigliaccheria qual è quella del reietto austriaco, creatore e abitante degli stessi inferi dai quali è stato espulso, colpevole di aver perso e di non essersene pentito. Ma una coscienza sporca si rifugia nel calcolo, e il soldato trova sollievo nell’ossessione della kabbalà ebraica, realizzando il paradosso di costringersi alla persecuzione da parte del suo stesso passato. Fino a morirne.
Di questo parla la seconda testa del bicefalo, la figlia sopravvissuta a un padre di cui non ha mai saputo il nome vero, unita allo sconosciuto della locanda da un destino che nessun numero sarebbe in grado di ingabbiare: la casualità. E lei, per la natura che la costituisce e che del caso stesso è declinazione, scrive come se calzasse «scarpe con i tacchi a spillo»: andando piano e ondeggiando, ma comunque provando a far sbrogliare la sua storia da chi la leggerà. Perché «chi è parte di una storia, ci sta impigliato dentro».
Tramite la sua seconda voce, che è donna, Erri De Luca riesce a fabbricare un altro piccolo esempio di mitologia, di narrazione degli uomini che narrano.
- Genere: Narrativa italiana