Vetrina. “Il viaggio immobile”
Tredici racconti che fingono di pescare nel torbido
Il sesso e la nevrosi: no, non vuol essere una traduzione distorta del titolo di una celeberrima serie televisiva americana, ma soltanto il tentativo di una sintesi basata su ciò che più scuote e marchia le viscere di chi legge Il viaggio immobile. L’opera-raccolta di Jean Vautrin, edita da “Meridiano Zero”, dà senza dubbio la prima, violenta impressione di voler condensare in sé e su di sé, come un vetro sporco, una fatale miscela di angoscia e lordura. Del lato più livido dell’umano.
A tal scopo concorrono i tredici racconti che costituiscono il volume, tredici respiri (o forse rantoli) di diversa lunghezza preposti all’appannamento del vetro, a un calcolato ed inesorabile processo di distruzione della trasparenza, di mortificazione della chiarezza. Per contro, lo stile è quello del migliore scrittore di best-seller: diretto, fluido, coinvolgente. Come uno Stephen King francese, Vautrin si muove nella consapevolezza di sollecitare i giusti punti di pressione, di stuzzicare qualsivoglia follia sopita mettendo in scena, con assoluta tranquillità, una foltissima schiera di personaggi folli coinvolti in altrettante innumerevoli situazioni dominate dall’assurdità. Si passa così dalla straniante vicenda di una coppia in crisi, che combatte l’impossibilità di avere figli adottandone un’ideale riproduzione in plastica (Baby Boom, vincitore del premio Goncourt nel 1985), all’inquietante storia di un uomo risoluto a carpire ogni giorno un fotogramma identico della moglie, anche dopo la sua morte (Il viaggio immobile di Kléber Bourguignault). Nel mezzo, i percorsi ammantati di maledizione di scrittori eroinomani, bambini dalla sessualità precoce, donne lascive e anti-eroi moribondi. Un programmatico rifiuto della felicità annunciato, in prefazione, dall’autore stesso, strenuo sostenitore di uno “squilibrio” che è forza motrice del rischio, della confutazione di un sé mai soddisfatto. Ma che non dovrebbe essere visto – e invece così è, agli occhi di Vautrin e a quelli dei suoi lettori – come “big bang” dell’annullamento, di una visione nichilista fra le più nere e totali mai messe su carta. Dall’apparente originalità creativa de Il viaggio immobile si ricava per lo più una matematica della perversione e dello stupore cui essa tende. Se le conclusioni di ogni tappa del libro possono sembrare inattese o sorprendenti, sono da porre agli antipodi le dinamiche narrative con cui esse vengono raggiunte: morbosità e pazzie che comunque rientrano nelle griglie precostituite dello stereotipo e della moda, fingendo di aggiungere qualcosa di nuovo a quanto è stato detto già, e meglio. Se ne astengano, per questo, coloro che non hanno voglia alcuna di utilizzare la letteratura per simulare l’autodistruzione, in nome della più cool delle tendenze.
- Genere: Narrativa straniera
- Altro: Traduzione di Leonella Prato Caruso