Arti Performative Dialoghi

Gli Instabili Vaganti rotolano verso Sud e ci raccontano com’è

Renata Savo

Come in un brano dei Negrita che fu in cima alla hit parade di (sigh!) circa un decennio fa, Nicola Pianzola e Anna Dora Dorno, alias Instabili Vaganti, rotolano #versoSud esplorando storie e abitudini dell’America Latina, terra meravigliosa nonostante le sue difficoltà e contraddizioni, da tempo al centro della ricerca artistica della compagnia. Così passano da Oaxaca a Città del Messico, da Chiloé alla Patagonia, lasciandosi trascinare, attraverso le diverse occasioni teatrali, in un #worldtour che non è semplicemente una tournée teatrale (o di teatro civile), ma tappe di vita e azione partecipata: acción global.

Abbiamo, allora, scritto alla coppia italiana di performing artists per chiederle di raccontarci, tra una tappa e l’altra del faticoso ed emozionante tour, l’esperienza che sta vivendo, anticipandoci anche qualcosa sul “dopo”: il ritorno in Italia, previsto alla fine dell’anno.

Cari Instabili Vaganti, dateci vostre notizie: com’è andato il debutto di Desaparecidos#43 a Città del Messico?

La data a Città del Messico è stata una tappa molto importante per la storia del nostro spettacolo, trattandosi finalmente della restituzione al pubblico messicano di un lavoro di ricerca e di creazione che ci ha impegnato per due anni, gli stessi ormai trascorsi da quella fatidica notte del 26 settembre 2014, quando a Iguala, nello stato del Guerrero, sono spariti 43 studenti della Escuela normal Rural di Ayotzinapa.

Ci siamo preparati a questo “debutto” messicano con un periodo di residenza al Centro de gestione scenica Tierra Independiente di Oaxaca, capitale di uno degli stati più poveri del Paese e recentemente teatro di violente repressioni delle proteste dei maestri delle scuole.  In soli cinque giorni di lavoro abbiamo incluso nello spettacolo, come interpreti, i danzatori e coreografi Helmar e Paulina Alvarez, presentando una prova aperta del lavoro al pubblico oaxaqueño.

Giunti a Città del Messico siamo stati subito pervasi da una forte emozione: quella di ritrovarsi in un luogo denso di memoria, la Plaza de las Tres Culturas, simbolo della mattanza passata alla storia come la “Noche de Tlatelolco”, quando il 2 ottobre 1968 l’esercitò aprì il fuoco sugli studenti che stavano manifestando pacificamente, alla vigilia delle Olimpiadi. Abbiamo subito capito che si stava chiudendo un cerchio, dato che, proprio al Tlatelolco, e nello specifico alla UVA, Unidad de Vinculación Artística dell’Università Nazionale autonoma del Messico, abbiamo iniziato il nostro progetto internazionale Megalopolis, due anni prima dei tragici eventi di Ayotzinapa.  E pensare che i bus con i 43 studenti di Ayotzinapa, attaccati dalla polizia di Iguala, stavano viaggiando verso la capitale, proprio in occasione delle celebrazioni per il 2 ottobre.  Tutto ci riportava al tema del nostro lavoro, per questo abbiamo deciso di aprire ulteriormente il progetto e la struttura dello spettacolo includendo altri tre performer messicani, che hanno preso parte al nostro workshop OPENCALL#43, nei giorni precedenti al debutto, presentando, per la prima volta DESAPARECIDOS#43 con un cast internazionale di 7 attori e danzatori, e registrando il tutto esaurito! Fin dalla prima battuta del testo, che riferendosi al massacro del Tlatelolco si trasforma in «qui, fuori da questo teatro…» si avvertiva l’emozione condivisa in sala. Abbiamo udito molti spettatori in lacrime, mentre altri, al termine, durante gli applausi, hanno urlato: «Justicia!».

L’anno scorso non eravate riusciti a portare lo spettacolo nel nord del Messico, a Tampico. C’è una seria motivazione dietro. Ci spiegate bene qual è?

Già durante il nostro #worldtour2015 che interessava anche quattro diversi stati del Messico, avevamo proposto Desaparecidos#43 al Festival “Teatro Para El Fin del Mundo” di Tampico, città tristemente nota per ripetuti episodi di estrema violenza e brutali omicidi legati al narcotraffico. In quell’occasione sono stati gli stessi organizzatori di TFM a farci desistere nell’impresa, dati i rischi legati al contesto in cui lo spettacolo sarebbe andato in scena, ricordandoci inoltre che solo due edizioni precedenti, tre artisti e collaboratori del festival sono stati sequestrati e tutt’oggi risultano desaparecidos.

In che cosa consiste, tecnicamente, quella che avete definito una acción global?

Il sottotitolo del nostro spettacolo è “Acción global por Ayotzinapa”, come ad evidenziare il carattere di azione performativa, nata come risposta emotiva e istintiva agli sconvolgenti messaggi ricevuti, proprio dai nostri studenti messicani, che ci raccontavano quello che stava accadendo in Messico, quando in Italia e in Europa i notiziari e i quotidiani tacevano su questa atroce vicenda. In quei giorni, successivi al 26 settembre 2014, sul web si susseguivano filmati, foto e slogan di diverse «acciòn global» che avvenivano in Messico ed in altre parti del mondo ad opera di artisti di diverse discipline.  Il nostro spettacolo si è sviluppato nel corso di due anni partendo da una prima azione globale creata per unirci a quelle di tutti gli artisti che, come noi, contribuivano a diffondere la notizia attraverso la rielaborazione artistica dell’accaduto. Noi abbiamo scelto come forma il teatro, il nostro teatro, il nostro linguaggio e la nostra poetica. Elementi che ci contraddistinguono anche come persone e che incarnano il nostro pensiero critico, politico. Desaparecidos#43 ha mantenuto quest’aspetto di azione globale, includendo altri artisti nel proprio processo di creazione e generando diverse versioni dello spettacolo alle quali hanno preso parte attori e danzatori italiani e messicani. Anche nella settimana trascorsa alla UVA – Unidad de Vinculation Artistica sono stati tanti gli artisti che si sono uniti a noi, come la fotografa italiana Giulia Iacolutti, che durante la conferenza di apertura del nostro workshop ha illustrato il suo progetto fotografico #365porlos43, partecipando al nostro workshop e condividendo con i partecipanti l’azione performativa di realizzare un mural di una sua fotografia.

Inoltre i documentaristi e film makers di Ojos de Perro e autori del documentario Mirar Morir, hanno filmato il processo di lavoro a Desaparecisdos#43 a Città del Messico per inserirlo in un nuovo film sulle reazioni artistiche generatesi a partire dal caso Ayotzinapa. Circondati da telecamere e macchine fotografiche, ci siamo sentiti “dentro la notizia” e parte attiva di un movimento che lotta per chiedere giustizia.

Come e quando vi siete legati al tema dello spettacolo?

Noi abbiamo lavorato in Messico varie volte e in diverse occasioni, in particolare dal 2012 in poi abbiamo cominciato a sperimentare, attraverso alcuni workshop con gli studenti della UVA (Unidad de Vinculation Artistica) e della ENAT (Escuela Nacional de Arte Teatral) il nostro progetto Megalopolis, che nasceva proprio dallo studio dei fenomeni di massa e globalizzazione nelle grandi città del pianeta.  Abbiamo trascorso in Messico lunghi periodi, che ci hanno fatto amare i luoghi e le persone con le quali venivamo a contatto. Uno dei desideri che avevamo era proprio quello di parlare attraverso il nostro progetto di questo Paese meraviglioso con le sue contraddizioni e le sue difficoltà.  Poi è accaduta la vicenda di Ayotzinapa e tutti gli studenti sono scesi in piazza a protestare. Molti venivano arrestati, picchiati e minacciati. Noi seguivamo le vicende attraverso i social, abbiamo avuto paura per i nostri studenti e ci siamo subito sentiti coinvolti e chiamati in causa.

Da dove partì l’idea di Desaparecidos#43?

L’idea dello spettacolo è stata più che altro una reazione artistica, dapprima impulsiva. Abbiamo subito creato una prima performance per unirci alle reazioni artistiche di solidarietà che stavano avvenendo in Messico e in tutto il mondo. Poi qualcosa ha cominciato a scavare dentro di noi, nelle nostre emozioni, nel nostro legame con questo paese. Le vicende si sono legate all’indagine che già avevamo avviato nel nostro progetto ed il processo di lavoro è andato maturandosi, non senza la fatica di affrontare dei temi così forti e duri.  Possiamo però dire che Desaparecidos#43 è nato dall’amore e dall’attaccamento che avevamo con alcune persone, studenti e artisti, che avevano condiviso con noi il nostro progetto. L’idea principale è stata quindi quella di restituire quest’amore trattando il tema con grande rispetto e soprattutto con una grande speranza e fiducia nella reazione di un popolo così forte come quello messicano.

Quando farete ritorno in Italia?

Torneremo alla fine di dicembre, dato che siamo impegnati in un lungo progetto al festival FITICH di Chiloé, arcipelago nel sud del Cile, dove in occasione del decennale del nostro progetto Stracci della memoria stiamo presentando diverse repliche dello spettacolo Il Rito nei luoghi storici delle diverse isole dell’arcipelago, tra cui la chiesa di Nercon, patrimonio UNESCO dell’umanità. Inoltre inizieremo presto un workshop con gli artisti e gli attori locali che porterà alla creazione dello spettacolo Ri-emersioni, che sarà presentato, nell’ambito della programmazione del festival, a Osorno, una città nella Regione cilena dei Laghi. Chiloé è al momento il luogo più a sud dove ci siamo spinti con i nostri progetti.

Progetti in cantiere dalle nostre parti ve ne sono?

Il 13 marzo porteremo Desaparecidos#43 nella stagione del centro di promozione teatrale “La Soffitta” all’Università di Bologna e continueremo la tournée di Made in Ilva che sarà in scena il 11 e 12 aprile nella stagione del Teatro Archivolto di Genova. Dal prossimo anno cominceremo a lavorare alla nuova produzione per la quale ci piacerebbe ampliare l’organico della compagnia. Non mancheranno altri progetti all’estero, in particolare Anna Dora Dorno dirigerà una grande produzione in Cina, a Shangai, che circuiterà poi in tutto il paese e che speriamo possa poi essere presentata anche in Italia.



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