Piccola Compagnia della Magnolia // Zelda. Vita e morte di Zelda Fitzgerald
Al Teatro della Caduta di Torino la Piccola Compagnia della Magnolia ha messo in scena un brillante monologo di Giorgia Cerruti per la regia di Davide Giglio sulla moglie-musa di F.S. Fitzgerald, morta in circostanze oscure nell’incendio dell’ospedale psichiatrico in cui fu ricoverata
«I malati di mente sono sempre semplici ospiti sulla terra: eterni stranieri, che portano con sé decaloghi spezzati che non sanno leggere». (Francis Scott Fitzgerald)
Che cosa fosse, nella sua prima stesura, quell’unico romanzo di Zelda Fitzgerald, Lasciami l’ultimo valzer (1932), non lo sapremo mai. Su consiglio dei terapeuti, Zelda lo aveva scritto nel proprio letto d’ospedale in poco più di un mese, per distrarsi dai demoni della schizofrenia in agguato; ma al marito Francis Scott non andò giù che Zelda raccontasse della loro vita comune, delle aspirazioni, delle malattie e dei disastri: il libro avrebbe potuto avere successo fra il pubblico americano e mandare in frantumi il mito dell’autore di culto, il simbolo di quella stagione indimenticabile che seguì la prima guerra mondiale definita “età del jazz”.
Fra tagli e riscritture, Fitzgerald ridimensionò soprattutto le allusioni autobiografiche che lo vedevano trasformato in un pittore anemico col vizietto di macinare idee altrui. È vero, aveva impiegato nove anni per terminare Tenera è la notte (1934), annegando la fatica nell’alcolismo, ma sentirsi minacciato sul proprio terreno dalle frecciate al vetriolo e dalla scrittura di “terz’ordine” della moglie era inaccettabile. Eppure, per quanto si sforzasse di tenere lontana Zelda dal suo nuovo capriccio, non poteva negare di aver attinto per il suo immaginario al divertimento sfrenato degli anni (i favolosi Roaring Twenties) trascorsi insieme a lei.
New York li aveva ingoiati nell’utopia del benessere a portata di tutti, nel vortice delle feste in villa e delle macchine fuori serie, esaltati da una felicità solo in parte creata dall’alcool; Parigi li aveva raccolti da esiliati che credevano di raggiungere la libertà dalla mediocrità americana facendo i maleducati e ubriacandosi per le strade; infine, la Costa Azzurra, che li assecondò litigio dopo litigio, bicchiere dopo bicchiere, spreco dopo spreco, finché il velo fittizio dello sfarzo e del lusso si sollevò sull’abisso della dissoluzione.
Di quell’universo, reale e immaginario, Zelda fu sempre la regina: ogni eroina dei romanzi del marito aveva i suoi tratti, ogni follia, stravaganza, anticonformismo portava il suo sigillo. Il mondo era un riflesso della sua bellezza, e lei possedeva il mondo, grazie alla sua bellezza. La Southern belle, la moglie-musa, la flapper scatenata che portava i capelli alla maschietta, fumava, beveva alcolici, adorava il charleston, faceva il bagno nelle fontane ed era sempre circondata da giovani corteggiatori. Numerose furono le etichette che tentarono di afferrarne l’identità inquieta e irrisolta, e solo una ci riuscì davvero: «recovered», guarita. Con gli occhi smarriti e le labbra tremanti, è proprio Zelda, affondata fino al collo sotto le lenzuola del suo letto di manicomio, a mostrarci la scheda di dimissione che dovrebbe restituirla al mondo; l’ha riportata in vita, con un’elevata temperatura emotiva, l’attrice Giorgia Cerruti, anima e fondatrice insieme a Davide Giglio (regista e autore insieme a Cerruti di Zelda, Vita e morte di Zelda Fitzgerald) della torinese Piccola Compagnia della Magnolia.
Per sedersi sulle tribune che stanno davanti al palco del Teatrino della Caduta di Borgo Vanchiglia, si è costretti a passarle accanto e a osservarne il volto allucinato e impietrito. Otto anni dopo la morte di Fitzgerald, Zelda sopravvive nella solitudine indifesa del suo giaciglio alla deriva, chiusa nella follia come in una cassaforte di ferro. Dall’oscurità la sua voce emerge arrochita e si schiarisce progressivamente in un esorcismo di grida interiori che si sforzano di raccontare, quasi in un atto liberatorio, il passato che la schiaccia. Mentre una luce impietosa la esamina come su un tavolo operatorio e zaffate di rose appassite riempiono l’aria, Zelda estrae da sotto il lenzuolo i frantumi di un’esistenza spezzata: un profumo, uno specchio, un pegno d’amore di Francis, una ciocca dei suoi capelli, e poi carte, lettere, riviste, perfino una copia di Lasciami l’ultimo valzer, che tanto tempo prima (siamo nel 1948) l’aveva illusa di aver soddisfatto la sua sete di realizzazione in chiave estetica. Sembrerebbe un incubo partorito oltre la frontiera della coscienza, ripescato dal freddo buio dell’aldilà o dalla paranoia di un rituale apparente, ma Zelda non è apatica come la Winnie beckettiana, è viva, e la sua mente ancora tesa verso l’inesausta ricerca del sublime. Certo, è diventata l’ombra di sé, i suoi sguardi sono tristi e tormentati, la bocca piegata all’ingiù, il corpo invecchiato e appesantito dalle cure; ma le unghie laccate, i modi civettuoli, la vestaglia di satin rosa aperta maliziosamente sul seno tradiscono il desiderio di sentirsi ancora giovane e desiderabile. Specialmente agli occhi di quel marito che nei cortocircuiti del suo spirito non volle mai avventurarsi. Anche più della scrittura, l’ossessione che la tormenta è la danza: voleva dimostrare a Francis di avere talento, di possedere un’arte tutta sua, ma le scarpette da punta che si ostina a indossare anche ora che è malata sono l’indizio dell’ennesima aspirazione fallita. I medici la ribattezzarono “l’angelo con le ali un po’ bruciacchiate” non a torto: come Icaro che si spinse troppo vicino al sole, Zelda sacrificò la vita per inseguire inafferrabili chimere. Purtroppo, morì arsa per sempre dal suo fuoco.
Dettagli
- Titolo originale: Zelda. Vita e morte di Zelda Fitzgerald
- Regia: Giorgia Cerruti e Davide Giglio
- Anno di Uscita: 2016
- Produzione: Piccola Compagnia della Magnolia
- Cast: Giorgia Cerruti
- Altro: http://www.piccolamagnolia.it/it/zelda.htm
Altro
- Visto il: Venerdì, 04 Novembre 2016
- Visto al: Teatro della Caduta, Torino