Aleksandr Sokurov // GO.GO.GO
In prima assoluta al Teatro Olimpico di Vicenza, esordio alla regia teatrale per il regista di “Arca Russa” Aleksandr Sokurov, che ci prova ispirandosi a “Marmi” del Premio Nobel Iosif Brodskij
Fra le sette anteprime che hanno arricchito il già denso programma del Ciclo di Spettacoli Classici, che da sessantanove edizioni si svolge in quel gioiello palladiano del Teatro Olimpico di Vicenza, una ha suscitato tanta curiosità non solo negli addetti al settore, ma anche nei cinefili più accaniti.
Era agosto quando il cineasta russo Aleksandr Sokurov – vincitore del Leone d’Oro 2011 – con la collaborazione di Alena Shumakova alla drammaturgia e di Simone Derai e Marco Menegoni (della compagnia veneta Anagoor) alla regia, si è gettato nella realizzazione di quello che inizialmente venne chiamato Variazioni Brodskij, poi modificato in Go.Go.Go, spettacolo ispirato a Marmi, unico testo teatrale del poeta russo e naturalizzato statunitense Iosif Brodskij, Premio Nobel per la letteratura nel 1987. Dal 28 settembre al 2 ottobre scorsi, dopo due mesi intensi di prove e riflessioni sulla poetica del premio Nobel in relazione all’eleganza manierista della struttura marmorea vicentina, è andato in scena il debutto mondiale di questo nuovo e inaspettato “esperimento teatrale”.
Una piazza cittadina, la temperatura mite di fine estate, un gruppo di persone pronte ad assistere alla proiezione all’aperto del film Roma di Federico Fellini, mentre giovani saltimbanchi si esibiscono a due passi da un bar dove il suono del macina caffè confonde il significato delle parole: questa la scena che si presenta fin dall’inizio, come un lungo e disordinato piano sequenza, nel quale, però, si riescono a scorgere due figure diverse da tutte le altre, due figure che con abiti consunti si aggirano fra quelli in stile anni ’50 e quelle “carni” intente a chinarsi di fronte allo strano, luminoso e rumoroso mausoleo dedicato a una “Santa”, contenente del formaggio trangugiato come fosse una particola.
Tullio (Max Malatesta) e Publio (Michelangelo Dalisi) sono due uomini-ratto della peggior specie, orgogliosi di non essersi evoluti in semplici esseri umani, ma per questo disprezzati, scherniti e rifiutati da tutti i personaggi che popolano l’affollata piazza.
In un dialogo fluente e disturbato dalle altre azioni in scena, i due parlano del loro esistere, della differenza fra topo e uomo, oltre che della capacità di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Da buoni esseri onnivori, tutto quello che conoscono è stato assimilato mangiando libri di celebri autori, ancora fermi nei loro insaziabili stomaci, e bevendo cinema dalla pozzanghera in cui ora si riflettono i fotogrammi di Roma.
La bramosia di assaggiare quel formaggio tanto prelibato alla vista si fa, però, sempre più forte, come forte è l’attrazione per quel “sacro” mausoleo che li respinge, al quale non riescono ad avvicinarsi senza un’adeguata consacrazione: sarà Anna Magnani (Olivia Magnani/Karina Arutyunyan), presente alla proiezione – come un Federico Fellini (Paolo Bertoncello) dalla falsa disponibilità – a donare loro quel nettare tanto desiderato, rendendoli schiavi e condannandoli ad una macabra fine.
Il piano sequenza è una tecnica di ripresa cinematografica, nella quale la macchina da presa, fissa o in movimento, riprende una o più azioni in continuità. Il montaggio, nella sua accezione più classica, viene meno, o meglio ne viene data una percezione illusoria grazie alla profondità di campo e alla possibilità di creare molteplici azioni in diversi piani. Una tecnica, questa, che se sapientemente calibrata, come aveva fatto lo stesso Sokurov in Arca Russa, risulta di grande impatto visivo, donando al girato un’aura di infinito presente. Peccato, però, che per uno spettacolo teatrale queste tecniche debbano essere ben riviste e rivalutate al fine di non disperdere l’attenzione dello spettatore dal fulcro dell’impianto scenico.
Go.Go.Go, che va in scena alla Triennale di Milano dal 7 al 30 ottobre, è uno spettacolo denso di storie e di significati, ai quali non è dato il tempo e lo spazio per svilupparsi ed evolvere. La bellezza di un luogo maestoso come il Teatro Olimpico, l’equilibrato intervento scenico di Margherita Palli o l’eccellente recitazione dei protagonisti non diminuiscono la sensazione che in tutta quella moltitudine umana e verbale qualcosa si sia perso o non sia stato abbastanza preso in considerazione. Nel tentativo di unire il testo di Iosif Brodskij e l’amore del poeta per l’Italia a un personale omaggio alla città che ha ospitato il suo debutto, Sokurov commette l’errore di tenere sempre sul palco tutte le storie secondarie che accompagnano i due ottimi interpreti principali, lasciandole interferire – e, a volte, sovrastare – il flusso delle loro parole. Alle apparizioni di Fellini e della Magnani si aggiunge anche il personaggio dell’autore Brodskij (Elia Schilton) oramai così abituato alle grandezze statunitensi da sentirsi spaesato in quella piccola piazza: la sua figura sul palcoscenico permette al regista di scoccare sottili critiche sia verso il loro stesso paese d’origine, per il processo per “parassitismo sociale” del 1964 contro il poeta, sia verso gli Stati Uniti, luogo d’esilio dello stesso che ne ha provocato la trasformazione in un damerino attento a non sporcare il suo nuovo overcoat. Di fronte alla perdita di se stessi e dei propri principi ha ancora senso continuare a vivere?
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- Titolo originale: GO.GO.GO