Isola teatro e il perimetro del verso nel teatro non normale e non rassicurante di Caryl Churchill
Dal 29 marzo al 3 aprile all’Angelo Mai di Roma si terrà su iscrizione un workshop a cura della drammaturga e regista Marta Gilmore, direttrice artistica del collettivo teatrale Isola Teatro, parte di un progetto più ampio curato dalla Prof. Paola Bono dal titolo “Non normale, non rassicurante – Il teatro di Caryl Churchill”, realizzato in collaborazione con l’Angelo Mai e Sardegna Teatro, che esplora la scrittura della drammaturga britannica Caryl Churchill, da sempre attenta ai temi “scomodi” della politica, del femminismo, della sessualità.
Oggetto del laboratorio sarà esplorare la drammaturgia di Caryl Churchill attraverso il suo Serious Money (Bei soldi), «un testo dove la dimensione psicologica è totalmente azzerata in favore di una critica ferocemente divertita. Un testo in cui al rigore del verso rimato, delle scene sovrapposte come un meccanismo ad orologeria, deve fare da contrappunto una profonda libertà attoriale e registica».
Abbiamo posto qualche domanda a Marta Gilmore per sapere in che cosa consisterà questo laboratorio e quale rapporto si è sviluppato fra lei e la scrittura della Churchill, essendone stata anche traduttrice per i tre volumi editi da Editoria & Spettacolo (Collana Percorsi) e curati da Paola Bono.
Da quali figure è composto il collettivo Isola Teatro, e cosa le tiene unite?
È difficile definire con esattezza i confini della nostra Isola. Nella presentazione che ho scritto per il sito l’ho definita come un blob che di volta in volta si allarga, si restringe, si modifica. Storicamente, a fondare il gruppo siamo stati io ed Armando Iovino. Nel tempo si sono aggiunte le persone con cui abbiamo dato vita ai nostri progetti, lavorando sempre in maniera orizzontale, seppure dandoci dei ruoli che implicavano anche diverse responsabilità e voci in capitolo. Per capirci, se io sono la regista di uno spettacolo, sarò io a deciderne il cast, in base a scelte puramente poetiche, legate alla mia visione di quel lavoro. Ciò non di meno, quando si parla di come portare avanti un progetto, o si preparano le buste paga, siamo tutti alla pari a fronte di queste decisioni, che sono strettamente legate ad un percorso artistico in cui nessuno è interprete passivo delle idee di un altro. Purtroppo o per fortuna noi crediamo che, dandosi delle regole, il teatro possa e debba essere uno spazio democratico, nonostante l’abusata frase fatta che vuole che il contrario.
Dunque nel tempo Isola Teatro è stata composta dalle persone che si riunivano attorno ai progetti che abbiamo promosso. Di questi alcuni sono stati, per loro scelta, solo dei collaboratori, come Oscar De Summa per lo spettacolo L’Isola di Athol Fugard, o il musicista Fabio Guandalini per La strada ferrata. Altri invece sono entrati a pieno titolo nella gestione del collettivo, perché ne avevano desiderio, come Pamela Sabatini, Fiammetta Olivieri, Laura Riccioli, Elisa Porciatti, Alex Guerra. La nostra idea è sempre stata quella di uno spazio aperto, di un’isola/arcipelago dove si possa approdare, fermarsi per un po’, ripartire, ritornare. Perché in tutto ciò pensiamo che le forme di condivisione degli spazi di creazione artistica oggi debbano tenere conto delle condizioni in cui si opera. Per noi non funziona l’idea della “compagnia/famiglia tradizionale” in cui gli attori appartengono ad un gruppo e solo a quello, dove lo stare nella compagnia diventa quasi un atto di fede. Mi è capitato che mi venisse chiesto il permesso di lavorare con i “miei” attori. Io mi sono sempre fatta una risata, perché non possiedo nessuno e ciascuno di noi decide per sé. Tutti lavoriamo anche con altri gruppi o da soli, ad altre cose. Da una parte perché, da precari dello spettacolo, ne abbiamo la necessità e dall’altra per esigenza di crescita e di apertura mentale.
Oggi Isola Teatro è in primo luogo composta dal cast di Friendly Feuer (una polifonia europea), lo spettacolo/performance che abbiamo prodotto l’anno scorso e che porteremo al Teatro India il 28, 29 e 30 aprile. Insieme abbiamo creato sia lo spettacolo che le condizioni per farlo circuitare. Dunque non posso non citare Tony Allotta, Vincenzo Nappi ed Eva Allenbach, oltre appunto a me ed Armando Iovino. Poi c’è chi ha lavorato con noi in passato e oggi speriamo che si creino nuove condizioni per nuovi progetti, tra cui questo sulla Churchill, a cui abbiamo già lavorato l’anno scorso producendo una mise-en-espace di Sette bambine ebree, in cui mettevamo insieme vecchie e nuove conoscenze, nel desiderio di trovare la maniera di lavorare ancora insieme. Insomma il blob resta mobile, e noi al suo interno.
In che cosa consiste il fascino della drammaturgia di Caryl Churchill e in particolare di Serious Money, al centro del laboratorio che si terrà dal 29 marzo al 3 aprile a Roma? E’ stato pubblicato nel 1987, cosa lo rende più attuale?
È molto strano dover rispondere a questa domanda. Nell’arco di quasi quarant’anni la Churchill ha segnato, influenzato, rivoluzionato la scrittura per il teatro. Solo che in Italia non ce ne siamo quasi accorti. Anzi, il paradosso è che abbiamo messo in scena opere di autori che hanno imparato da lei, ignorando la “maestra”. In due parole possiamo dire che la scrittura della Churchill ha il pregio di interagire sempre con la materia teatrale viva, con il processo teatrale nella sua complessità. Questo, in un corpus di opere tanto importante quanto variegato, in cui nessuna somiglia all’altra, ha significato diverse cose: collaborare con la compagnia che metteva in scena il testo in maniera dinamica, interrogare la forma teatrale, ripensandola ogni volta, mettere in scena testi spinosi, scomodi, fortemente politici che pure non diventavano mai dei “pamphlet”. Con la prof. Paola Bono, che sta curando la pubblicazione di tre volumi con i principali testi della Churchill, abbiamo voluto intitolare “Non normale, non rassicurante” il progetto dedicato a lei, riprendendo una sua “nota sul teatro” del 1972. E veramente il teatro della Churchill è sempre una disturbante follia, il che vuol dire che contenuti e forme della sua scrittura sono in una relazione fortissima tra loro, sempre a cercare la zona di crisi, o di messa in crisi, che i temi affrontati producono nelle forme teatrali, nella scrittura stessa, nell’attore e nello spettatore.
Quanto a Bei soldi, dal punto di vista dei contenuti la sua attualità rischia di apparire quasi scontata. Non a caso ho usato l’immagine della vignetta di Altan in cui un uomo immerso in una montagna di merda chiede il Nobel per il senno del poi. La pièce, ambientata al LIFFE di Londra, il London International Financial Futures Exchange, è stata scritta nel momento in cui si compivano alcuni passaggi epocali nel sistema borsistico e finanziario mondiale, con la scomparsa della contrattazione “alle grida” sostituita dagli scambi telematici, con l’affacciarsi di Internet e con le liberalizzazioni degli scambi finanziari, che hanno dato il via alla cosiddetta globalizzazione. Insomma racconta, anticipandolo, il mondo come stava diventando e come oggi è, dal punto di vista di ciò che ne definisce gli assetti: quell’inimmaginabile quantità di denaro che viene mossa ogni giorno dagli operatori finanziari.
Tuttavia credo che la valenza di metterlo in scena oggi non sia solo per i suoi contenuti ma per il modo in cui vengono affrontati e per altre sottili linee drammaturgiche che vi si possono rintracciare. All’epoca in cui debuttò a Londra Serious Money produsse un effetto imprevisto, riempiendo il Royal Court di broker della City che venivano a vedere se stessi in questo specchio deformante ma puntuale. La Churchill aveva saputo cogliere degli elementi di fondo del loro stile di vita, la velocità in primo luogo, l’esuberanza, il talento se vogliamo. Priva totalmente di moralismi, la pièce è feroce e brillante insieme, e non risparmia niente e nessuno. Neanche il teatro e la cultura, i cui rapporti ambigui con il potere sono altresì messi in scena. È un gioco, anzi è il gioco, «the game». E a me viene subito voglia di giocarci.
Quali sono state le difficoltà di traduzione in italiano di un testo come Serious Money?
Semplicemente enormi. Quando ho detto ad una mia amica inglese che stavo traducendo Serious Money lei mi ha detto «but that’s untranslatable!» Un testo di argomento finanziario, datato nel gergo tecnico e d’uso comune, scritto in un periodo particolarmente instabile e dunque che ha lasciato poche tracce di sé; e infine composto prevalentemente di versi sciolti rimati. Su quest’ultimo punto, non volevo fare una traduzione troppo libera, che quasi divenisse un’altra cosa. Al contempo però, mi è stato chiaro da subito che il testo doveva restare “dicibile”, contenere un ritmo interno alla lingua italiana, e dunque non diventare una filastrocca. Questi due criteri, uniti al problema di capire letteralmente di cosa si parlava quando il testo si faceva molto tecnico, hanno reso la cosa particolarmente difficile, ma anche molto stimolante. Il mio computer si è riempito di siti di finanza online, borsa per principianti, Investopedia e quant’altro, mentre i miei quaderni si riempivano di sinonimi da far rimare, rigirando in dieci modi ogni singolo verso. Una vera follia.
“Il perimetro del verso”: da dove nasce il titolo di questo progetto, di questo laboratorio?
Mi piaceva usare l’immagine del perimetro perché mi sono resa conto che è anche la cifra poetica più chiara del nostro lavoro. La nostra Isola, che è uno spazio molto libero, necessita di una misura, di una “perimetratura”, ogni volta diversa, ma sempre presente. Lo spazio scenico, come noi lo creiamo, ogni volta è segnato in qualche modo da una linea che ne definisce i confini. Ovviamente sono confini, quelli spaziali come quelli drammaturgici, che crei per romperli o per metterli in questione. Come Charlie Chaplin alla fine de Il pellegrino che cammina con un piede negli USA e uno nel Messico. In Brucia usavamo addirittura la cenere per creare e disfare queste linee.
Non ho mai ritenuto che lavorare sulla drammaturgia scenica come noi la intendiamo, cioè come una partitura precisa e rigorosa, sia in conflitto con la messa in scena “fedele” di testi scritti per il teatro. Questa volta iniziamo con un perimetro molto stretto. Sta a noi trovare il modo di muoverci al suo interno come esseri umani pieni di vita, come creatori delle nostre partiture, spaziali, relazionali e quant’altro, come autori comunque del nostro teatro e non come delle macchinette.
Qual è la finalità di questo laboratorio? Perché iscriversi?
Perché il laboratorio crea le condizioni per un incontro fra persone che vogliono mettersi in gioco. Non mi interessa insegnare a qualcuno a recitare, non lo ritengo nemmeno possibile. Ma sono molto curiosa di prendere in mano questo testo che ho tradotto e che conosco come le mie tasche, riscoprirlo, esplorarlo, cercando il modo di farlo volare. Mettere in gioco le mie proposte e fornire a chi partecipa le condizioni per misurarsi con esse e per mettere altresì in gioco le proprie. Anche qui credo che, con regole chiare, con precise assunzioni di responsabilità, il processo possa essere democratico, nel senso di paritetico e orizzontale. Questo non vuol dire che non ci sia una conduzione, che ha il compito di fornire occasioni, strumenti, soluzioni. Ma con quale obiettivo? Direi quello di accogliere e indirizzare le idee e la sensibilità di chi partecipa. Iscriversi può essere una buona occasione per conoscere il teatro di Caryl Churchill, il modo di lavorare di Isola Teatro e, spero, per approfondire e affinare le proprie risorse creative.