Giampiero Rappa // Nessun luogo è lontano
Giampiero Rappa e la baita allestita al Teatro Argot Studio ci raccontano il ritorno alla vita del solitario Mario Capaldini in Nessun luogo è lontano
Quante volte si ricevono pugni in faccia dalla vita senza riuscire a rialzarsi e si finisce per chiudersi in se stessi? È mai davvero possibile isolarsi completamente da tutti e da tutto ciò che ci circonda? E qualora vi si riesca è davvero questo ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere?
L’ultima pièce scritta e diretta da Giampiero Rappa intitolata Nessun luogo è lontano, in scena al Teatro Argot Studio fino al 21 febbraio, racconta la storia di un uomo che, senza alcun motivo apparente, ha deciso di chiudere tutte le porte alla vita e al prossimo.
Ritiratosi in una baita sperduta in montagna, il cinquantenne Mario Capaldini, interpretato da Giampiero Rappa, è un ex scrittore di successo che riceve nell’arco di pochissimi giorni – dopo tre anni di solitudine e silenzio – le visite irruenti di una giovane giornalista in cerca di un’intervista, Anna Vulli (Valentina Cenni), e del nipote Ronny (Giuseppe Tantillo). L’entrata delle due giovani vite, diverse, lontane, ma al tempo stesso così vicine a Mario, sarà portatrice di scontro, rivolta, rancore, ma anche speranza e cambiamento. Forse la tensione in cui Mario vive da anni riuscirà a sciogliersi, ma non senza diffidenza, sconvolgimento e orgogliosa resistenza. Diffidente e scontroso, infatti, Mario non accetta intromissioni e odia le molte parole che i suoi due giovani interlocutori gli rivolgono. Il temperamento audace di Anna e quello vivace del giovanissimo Ronny rompono il silenzio in cui Mario si è chiuso da anni provocando in lui dei violenti eccessi d’ira misti ad ancora più estrema e silente tensione.
La scenografia, allestita da Francesco Ghisu nella piccola sala dell’Argot, “accoglie” perfettamente lo spettatore nel mondo di Mario: un rifugio freddo, ordinato e composto che l’ex scrittore si è cucito addosso, rendendolo la propria gabbia. Lo spazio viene vissuto dai tre protagonisti che cercano, di volta in volta, scontro e riconciliazione intorno al tavolo, protezione e calore accanto al camino, distanza attraverso l’uscita dalla porta.
L’alternanza di musica e silenzio e il cambio repentino di luce, giocato in accordo con l’umore dei personaggi, donano completezza allo spettacolo divenendone a tratti i protagonisti. L’elemento simbolico della luce, aprendo e chiudendo l’evoluzione e la maturazione di Mario, resta, dopotutto, l’argomento più forte dello spettacolo; più forte persino del suo silenzio. La luce sempre accesa nella baita, con cali di tensione improvvisi corrispondenti alle sue esplosioni irose, sembra indicare l’unico lume che si oppone al buio reale interiore in cui Mario è caduto da anni – quasi fosse il lume della sua ragione, che a volte si offusca in quei brutti momenti d’ira.
La tensione, il confronto serrato con l’altro anche nel silenzio e la lotta interiore con il mostro del proprio orgoglio lo porteranno, però, verso una progressiva nuova apertura all’altro e alla vita. Il viaggio verso il cambiamento è lento ed è seguito dallo spettatore che, non senza empatia, accompagna – a seconda della propria inclinazione per i silenzi, la musica o le luci – prima i giovani nel confronto con Mario, poi lo stesso protagonista nel ritrovamento di se stesso e nel riconoscimento dell’altro come elemento necessario per una vera esistenza. Solo in questo effettivo riconoscimento la luce artificiale della casa, opposta al buio interiore, può finalmente spegnersi in favore del ritorno di una luce interna che è una scintilla di vita ritrovata.
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- Titolo originale: Nessun luogo è lontano