Silvia Frasson // Santa Giovanna dell’immaginazione
Dal piccolo paesino natio della Toscana alla Francia della Pulzella d’Orleans, il viaggio immaginifico di Silvia Frasson al Teatro Studio Uno di Roma è una storia avvolta da unicità e magia.
«Sacrilega, poco ferma e poco sicura nella fede, malpensante, malfacente, Giovanna d’Arco, 19 anni… », una storia che comincia da lontano, da un villaggio della Francia chiamato Domrémy. Qui la Pulzella d’Orleans guidata dalla voce di Dio aspetta paziente di sapere quale sarà il suo destino.
È Santa Giovanna dell’immaginazione – ovvero la storia di Giovanna D’Arco vista con i miei occhi; gli occhi di Silvia Frasson, attrice, autrice e narratrice immaginifica nata e cresciuta in un piccolo paese della Toscana, Chiusi. Cos’hanno in comune queste due donne? Forse entrambe in due epoche diverse, in due mondi differenti, hanno creduto in qualcosa. Come tutti del resto, o forse no, ma questa è una storia e come tutte le storie che si rispettino è avvolta da una sorta di unicità e magia.
Gli occhi di Silvia Frasson diventano i nostri occhi e si parte proprio dal borgo di Chiusi dove nei pomeriggi d’estate echeggiava tra i campi il grido di richiamo alla merenda della nonna di Silvia e, con un salto temporale e spaziale, che chiama in gioco Heidi, ci ritroviamo tra le colline di Domrémy dove incontriamo una giovane Giovanna d’Arco al pascolo, alle prese con una pecorella smarrita e con la sua prima ingiustizia.
Si procede così balzando da Silvia a Giovanna, le due donne s’incastrano, si appoggiano l’una all’altra, Giovanna necessita di Silvia per svelare i suoi misteri di donna di fede, di passione e di cuore. Mentre in Francia la Pulzella riceve la sua chiamata da Dio che le ordina di partire per Vaucouleurs per incoronare il Delfino Carlo (futuro Carlo VII) e salvare il suo paese; a Chiusi la nonna di Silvia, che mai aveva messo piede fuori dal suo paese natale, parte per Lourdes. Due chiamate, quella di Giovanna e della nonna, da Dio, due viaggi verso l’ignoto intrisi di determinazione e forza di volontà, inseguendo una voce, quella dell’anima.
Le indicazioni sul foglio di sala ci invitano a sostituire Dio con qualcosa in cui si crede e poi provare a raccontare/raccontarsi com’è andata. L’artista toscana prova a coinvolgere il suo pubblico non senza interrogarsi per prima in occasione della nuova messa in scena di un testo che ha quasi tredici anni: «Allora ho pensato… quello che è successo a Giovanna è successo a me, con questo mestiere di attrice: mi ha chiamato e l’ho seguito». Una scelta coraggiosa oggi, quasi quanto quella di Giovanna, seguire quella chiamata alle arti che Silvia Frasson onora e coltiva negli anni con grande determinazione. Basta digitare il suo nome su Google per rendersi conto che Giovanna d’Arco, nato come spettacolo di diploma alla “Paolo Grassi” di Milano, è solo il punto di partenza di un percorso di attrice ed autrice immaginifica, come essa stessa si definisce, che non si è più fermato. Silvia Frasson ha lavorato al fianco di Giorgio Albertazzi, ha edificato storie su storie, riportando in vita miti, leggende, fantasie e stereotipi, filtrando il tutto attraverso la sua voce e il suo corpo. La tensione delle sue braccia, la ferma e calda espressione del viso, gli occhi grandi come specchi filtrano e disegnano luoghi, volti e immagini. Ad accompagnarla, la fisarmonica di Stefania Nanni che non le stacca mai gli occhi di dosso, che insegue i suoi personaggi con la musica e le fa da spalla. C’è qualcosa dei cantori medievali, dei giullari di corte, un teatro che non ha bisogno di null’altro se non dell’immaginazione della narratrice e del suo pubblico.
Dettagli
- Titolo originale: Santa Giovanna dell'immaginazione - ovvero la storia di Giovanna d'Arco vista con i miei occhi